Se sul finire degli anni '90 e nei primissimi anni 2000 il polar ha subito la marcata influenza del crime movie statunitense nelle sue varianti del thriller depalmiano (Six-Pack di Alain Berbérian) e del poliziesco procedurale (Scènes de crimes di Frédéric Schoendoerffer), nel biennio 2002-2003 il genere vede da una parte culminare questa tendenza nel tarantiniano Crime Spree - Fuga da Chicago di Brad Mirman e dall'altra torna a riflettere sulle proprie regole tradizionali (La mentale - Il codice, Autoreverse), fino a confrontarsi con uno dei suoi prototipi letterari (Le mystère de la chambre jaune).
Tra queste due tendenze antitetiche si collocano sia Entre chiens et loups, polar geograficamente eccentrico ambientato a Bucarest, sia i primi due capitoli della trilogie policière di Guillaume Nicloux, due film che rendono omaggio al noir della stagione neohollywoodiana (Un affare privato) e al thriller psicologico degli anni Novanta (Cette femme-là) senza tuttavia rinunciare alla propria specificità nazionale.
In definitiva, un biennio in cui il polar porta a termine l'assimilazione degli stilemi e delle suggestioni provenienti dal noir e dal thriller statunitense, mostrando un rinnovato interesse per le proprie radici e per l'attenzione alla sensibilità squisitamente francese. La sbornia americaneggiante è quasi del tutto smaltita: il genere torna ad abbeverarsi alle fonti originali.
Con Thierry Lhermitte, Marion Cotillard, Samuel Le Bihan, Aurore Clément, Jeanne Balibar
È fuor di dubbio che il Philip Marlowe de Il lungo addio (Robert Altman, 1973) e il John Klute di Una squillo per l’ispettore Klute (Alan J. Pakula, 1971) siano i padri cinematografici del François Manéri di Une Affaire privée, eppure la disincantata strafottenza di Elliott Gould e la sorniona tenacia di Donald Sutherland non bastano a rendere conto dell’eccezionalità del personaggio cucito addosso a Thierry Lhermitte da Guillaume Nicloux. Sigaretta perennemente in bocca e allergia acuta ai legami sentimentali, il private eye cesellato da Nicloux/Lhermitte surclassa in amarezza e cinismo i modelli neohollywoodiani, trasportando il loro spaesamento in puro territorio esistenziale.
Con Richard Berry, Said Taghmaoui, Joaquim De Almeida, Anouk Grinberg, Etienne Chicot
Adattamento del libro Iaroslav, pubblicato nel 2000 dal romanziere, sceneggiatore e dialoghista Claude Klotz (uomo di fiducia di Patrice Leconte), Entre chiens et loups è il dodicesimo lungometraggio di Alexandre Arcady (padre di Alexandre Aja), mestierante specializzato in film di genere (soprattutto polizieschi e commedie, anche combinati). In questa occasione il regista nato ad Algeri è fiancheggiato, in sede di sceneggiatura, dal figlio e dal suo inseparabile collaboratore Grégory Levasseur, ma il risultato finale, purtroppo, è piuttosto deludente. Nonostante un incipit al fulmicotone, con una rapina ad un aereo sulla pista di decollo con tanto di elicottero da guerra, Entre chiens et loups è difatti un "polaraccio" di bassa lega salvato soltanto da alcune sequenze d'azione pregevolmente girate (il regista della seconda unità è proprio Alexandre Aja) e altrettanto efficacemente montate (accanto alla prima montatrice Joële van Effenterre scintillano le forbici del geniale Baxter). Ma al di là dei meriti tecnici (tra i quali vanno ascritte la fotografia desaturata di Alessandro Feira Chios e la musica di commento di Philippe Sarde e Xavier Jamaux) il polar di Arcady è sensibilmente deficitario sia dal punto di vista narrativo che da quello della caratterizzazione dei personaggi.
Con Samuel Le Bihan, Samy Naceri, Clotilde Courau, Marie Guillard
Polar ambientato nella banlieue parigina, La mentale (il titolo si riferisce alla "mentalità" del codice criminale) è il secondo lungometraggio di Manuel Boursinhac (classe 1954), sceneggiatore e regista attivo sia in campo cinematografico che televisivo. Totale assenza della polizia: proprio come nel fondativo Grisbi (1954, Jacques Becker), La mentale mette in scena le dinamiche criminali dal di dentro, ponendosi ai margini della legge ufficiale e descrivendo internamente le perentorie regole di comportamento del milieu ("Non rompi i coglioni e nessuno ti tocca, rompi il cazzo e ti spezziamo le reni, tradisci e sei morto"). In quest'ottica il film di Boursinhac si configura come il controtipo negativo del film di Becker: se in Grisbi la lotta tra la vecchia guardia (Gabin e soci) e i nuovi gangster (Ventura e compagni) era osservata dal punto di vista degli anziani, ne La mentale la bagarre è presentata dalla prospettiva della generazione montante.
Probabilmente il tentativo più fallimentare del genere di scimmiottare il pulp americano degli anni '90 (Tarantino ma anche i fratelli Coen): vicenda scombiccheratissima, MacGuffin a tutto spiano e una sarabanda di colpi di scena senza capo né coda. Brad Mirman gira con grandangoli distorcenti, inquadrature sghembe e soluzioni di montaggio stravaganti (anacoluti sintattici, split-screen che girano come slot machine e inserti video), pasticciando senza tregua. Cast all star in gita premio: Harvey Keitel, Gérard Depardieu, Johnny Hallyday, Renaud, Saïd Taghmaoui, Richard Bohringer per un pulp-polar fiacco e claudicante che si addobba di virtuosismi ammiccanti e inutili orpelli. A un passo dalla parodia, ma con i piedi impantanati nell'emulazione velleitaria.
Titolo originale Ni pour ni contre (bien au contraire)
Regia di Cédric Klapisch
Con Marie Gillain, Vincent Elbaz, Simon Abkarian, Dimitri Storoge
Polar non totalmente disprezzabile di Cédric L'appartamento spagnolo Klapisch. Personaggi decorosamente sbozzati, dinamiche criminali sufficientemente dettagliate e atmosfere notturne rese con volenterosa durezza rendono Ni pour, ni contre (bien au contraire) un noir briosamente convenzionale che si misura con i canoni del genere (le rapine, i dividendi, il colpo grosso) ravvivandoli con tocchi di ironia. Regia pulita e controllata di Klapisch che per la prima volta nella sua carriera cura l'immagine senza improvvisare o strafare. Qualche carineria di troppo e un finale all'acqua di rose non compromettono la discreta riuscita di un polar che, insieme a La mentale, segnala la rinata voglia del genere di fare i conti con la tradizione.
Con Denis Podalydès, Jean-Noël Brouté, Claude Rich, Scali Delpeyrat, Sabine Azéma
Quinto adattamento cinematografico dell'omonimo e celeberrimo romanzo di Gaston Leroux, Le Mystère de la chambre jaune è una pellicola in perfetto equilibrio tra libertà di trasposizione e fedeltà alla fonte letteraria. Il registro narrativo innanzitutto: se nel romanzo di Leroux l'indagine era immersa in un'atmosfera sinistra non priva di accenti gotici, nella riduzione di Bruno Podalydès l'inchiesta si svolge in una cornice giocosamente intagliata con situazioni buffe. Il dramma a tinte fosche si trasforma in una commedia poliziesca, insomma. Eppure questo alleggerimento di toni non va a scapito del mistero: pur virato in commedia, l'adattamento di Podalydès conserva inalterate la suspense e la galleria enigmatica del feuilleton di Leroux. A guadagnarne non sono soltanto la concentrazione spaziale e la tenuta narrativa, ma soprattutto la competizione tra l'intraprendente reporter e il prestigioso ispettore Larsan (il carismatico Pierre Arditi), figura autorevole che ha un metodo investigativo assai diverso da quello di Rouletabille e che sembra padroneggiare la situazione con disarmante sicurezza. Quella tra il pimpante reporter e il sornione ispettore è una vera e propria gara d'abilità che svela il tema profondo del film e del libro: il duello tra intelligenze che si misurano con situazioni limite. Nel romanzo la sfida tra il giovane Rouletabille e l'affermato Larsan riecheggiava quella tra lo stesso Leroux e i suoi illustri predecessori (Edgar Allan Poe e Conan Doyle), mentre nel film si afferma come puro virtuosismo manipolatorio, come celebrazione del potere illusionistico della rappresentazione.
Con Josiane Balasko, Eric Caravaca, Ange Rodot, Aurélien Recoing, Frederic Pierrot
Secondo capitolo della trilogie policière inaugurata l’anno precedente, Cette femme-là conferma l’attitudine di Guillaume Nicloux a interpretare il polar in chiave esistenziale, vale a dire la sua propensione a frequentare i meccanismi narrativi e le figure tipiche del genere preferendo l’ombreggiatura delle psicologie e la lumeggiatura dei conflitti interiori ai fuochi d’artificio della tensione. Anche in Cette femme-là si indovinano tracce di cinema americano (assonanze con Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme, distorsioni lynchane, malie friedkiniane), ma non diversamente da Une Affaire privée le titolate suggestioni sono metabolizzate da uno sguardo personale che ha nello scavo psicologico la sua intrinseca ragione di essere.
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