Il festival di Venezia ha sciolto gli ormeggi. Resteranno soprattutto i film che hanno bandito la priorità delle storie a favore dell’immagine, restaurando la priorità del cinema come schermo, ricerca visiva. Una consapevolezza che nessun film italiano è stato in grado di percepire, restando indietro. Troppo. Sconnesso dal presente, e soprattutto da un’idea di cinema che non sia trapassata.
Per molti i maestri in gara hanno deluso. Errore. Stanno semplicemente invecchiando, e forse cinematograficamente morendo. Ma in modo incantevole. Le notizie più importanti arrivano dall’Oriente, quell’Islam che si scopre e non ha paura di sollevare parecchi burqua con la propria voce. Qualcosa si è svegliato.
Con Oshri Cohen, Michael Moshonov, Reymond Amsalem, Itay Tiran, Yoav Donat, Dudua Tasas
Vedere è un atto criminale. Non c’è libertà nello sguardo, restiamo prigionieri della visione, rei di non poter fare a meno di guardare. Impotenti partecipanti dell’orrore. E fuori dal carrarmato-custodia che paralizza l’occhio, mondo e guerra non si distinguono, non si comprendono, si espandono soltanto.
Con Angela Molina, Féodor Atkine, Patrick Bauchau, Assumpta Serna
In streaming su Amazon Prime Video
Ancora osservare, questa volta come occhio indistinto nella folla. Non lo sguardo di un colpevole, ma di un testimone. La pratica del vedere si smarrisce perché avvinta dal controllo del reale: la trama si fa miniatura e infine cornice del quadro: il dipinto vero è l’ombra proiettata da una storia che scompare, e lascia parlare lo “spazio bianco”: immagini di (cinema) verità, una dopo l’altra: tante umiltà per scendere al grado zero degli ultimi. Nel sublime.
Una notte bianca. Colorata dal tormento. Quando il miracolo del descrivere un rimorso che divora si fa muto. La parola non serve, l’immagine è sola, è tutto. E’ insostenibile. Un film di Dostoevskij?
Donne in attesa, fiori sciupati che sbattono le proprie ali in silenzio. E questo silenzio non le ascolta. In soccorso solo la paura di vivere, così perfino il suicidio diventa emancipazione. Il proprio commento di libertà in un gesto. L’epitaffio che le descrive è il cinema: l’immagine “irreale” fotografa l’assenza di mascara; i lividi che convenzioni di una società politicamente monosessuale proteggono; i segreti delle mura domestiche, unici diari fedeli. Cinema-oracolo, come cuore di vetro.
Con Shirley Henderson, Ciaran Hinds, Ally Sheedy, Allison Janney, Paul Reubens
Sottile sottile. La voce dell’America non si sente quasi più. Ogni tanto torniamo ad essere padroni di una vita passata per troppe mani, il semaforo è verde, e non occorre piangere per andare avanti. Una tregua, che ci libera dalla decomposizione emotiva. Fino al prossimo semaforo rosso.
Con Nebojsa Milovanovic, Jelena Trkulja, Jozef Shiroka, Mirela Naska, Bujar Lako, Yilka Mujo
La clessidra della compassione si esaurisce, e lascia al Caso complicare quel che resta di un’umanità frantumata. Realismo restaurato, figlio di osservazione e concretezza. “Honeymoons” solleva il coperchio delle relazioni familiari nelle cicatrici etniche dei Balcani, poi si allontana per vedere cosa succede, ne apre degli altri: nulla si è creato; tutto si è distrutto.
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