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I magnifici di lungobasso
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Al di là dei limiti

Il cinema è nato per stupire ma è cresciuto facendo sognare. I fratelli Lumière, che realizzavano di fatto documentari, cedettero la loro invenzione a monsieur Pathé perché convinti che essa non avrebbe avuto futuro. Furono i nickelodeon theaters che, per soli 5 centesimi di dollaro (i cosiddetti nichelini), consentirono ai diseredati delle degradate città industriali di distrarsi e di sognare. Il cinema è l’erede naturale del romanzo d’appendice, è lo strumento che meglio sa veicolare quelle passioni e quelle incontenibili emozioni che di norma sono frustrate dall’arido susseguirsi delle incombenze quotidiane e dai limiti della natura umana. La lampada ad arco del proiettore, sia pure nella finzione, è una vera lampada di Aladino che consente di superare ogni limite fin dove può giungere l’immaginazione. Il superamento dei limiti è pertanto, a mio avviso, il fine narrativo d’elezione di questo strumento inteso come macchina dei sogni. Concordando ovviamente sul fatto che il cinema non si limita soltanto a questo e può darsi eccellentemente anche altri obiettivi. Per tale motivo ho voluto chiamare “Al di là dei limiti” questa raccolta  non tanto dei sette titoli che più mi hanno accompagnato e impressionato quanto delle sette modalità d’intendere il confronto e il superamento di questi limiti. Il primo limite considerato è quello del tempo. Agli uomini non è consentito muoversi liberamente in questa dimensione. Il cinema può costruire storie in cui quest’ostacolo può essere superato in tutti i modi immaginabili. Il secondo limite considerato è quello dello spazio, ove in teoria è possibile muoversi ma nei fatti gl’impedimenti possono essere così tanti da richiedere quantomeno una tecnologia non ancora accessibile o, nei casi considerati, la mano del cosiddetto destino che per il credente chiama in causa il trascendente. Vi sono poi i limiti delle convenzioni sociali che costituiscono ostacolo spesso più invalicabile delle leggi scritte, e le cui trasgressioni possono essere non meno pesantemente sanzionate. Il cinema ha in questo caso il merito di creare scenari che consentono di concepire l’inconcepibile e di aiutare a riflettere. Quando le convenzioni sociali sono complicate dai legami relazionali già in essere allora intervengono dinamiche che ostacolano ulteriormente il superamento del limite. Il perseguimento di determinati obiettivi e le priorità che ci si dà sono determinati dai valori a cui si è stati educati e dall’indole che si eredita alla nascita, tutti elementi che contribuiscono alla formazione del carattere. Cosa succede quando gli eventi della vita ci costringono a confrontarci con altri sistemi di valori da noi finora sottovalutati o di cui non immaginavamo neppure l’esistenza? Il cinema può creare queste circostanze in cui nella realtà difficilmente ci saremmo potuti imbattere, ed anche questo può rivelarsi un’utile occasione di riflessione. Ci sono poi i limiti legati alle caratteristiche e allo scorrere delle stagioni della vita. L’esperienza è il pettine che ci dà la vita quando restiamo senza capelli, afferma il pessimista. Se l’adolescenza è la stagione più arida perché sospinta di fatto solo dalle nascenti pulsioni che non ammettono altre ragioni, l’autunno della vita è la stagione dei rimpianti quando sì è imparato a vivere ma non ci sono più le risorse di cui in gioventù s’è fatto spreco. L’ottimista crede che in vecchiaia i capelli incanutiscano, si diradino ma non necessariamente cadano e quindi non è corretto affermare che il pettine non serva più, ma d’altra parte nessuno più di chi ha attraversato la vita sa quanto caro costa apprendere e quanto effimero è ciò che si costruisce, persino gli affetti da cui ben prima di quel che si spera bisognerà separarsi. Qui il cinema aiuta non solo raccontando le fiabe che finiscono con il classico “vissero per sempre felici e contenti”, ma anche e soprattutto con storie che aiutino a costruire prendendo atto della realtà. La constatazione che il percorso di crescita e di responsabilizzazione si compie attraverso l’esperienza della perdita delle cose e delle persone più care introduce l’ultimo limite preso in considerazione che è quello della natura umana e della ragion d’essere dell’uomo, sia preso individualmente che come civiltà. Ancora fino agli anni sessanta il cinema prefigurava scenari ottimistici per il futuro dell’uomo, anche se l’esperienza delle dittature nazifasciste e comuniste ispirava opere che paventavano una possibile dittatura planetaria ma più spesso in chiave rassicurante riguardo agli aspetti contraddittori presentati dalla civiltà contemporanea, come a voler dire: non disprezziamo troppo il mondo in cui oggi viviamo nonostante i suoi mali. Ma verso il volgere del secolo il racconto cinematografico ha cominciato a rispecchiare un crescente pessimismo sul futuro della civiltà e della stessa specie umana. In Blade Runner, che ha fatto da capofila, la situazione prospettata è quella di una terra post-apocalittica battuta perennemente da piogge radioattive, abitata da un’umanità deforme avviata all’estinzione. Gli stessi androidi che dovrebbero sostituirsi all’uomo sono afflitti da angosce esistenziali. Persino i personaggi dei mondi virtuali, come Solo in Nirvana, quando s’accorgono di non essere persone ma illusioni che vivono una vita ripetitiva ed eterodiretta, in fondo così simile alla routine quotidiana degli uomini autentici, non invidiano la condizione umana ed invocano la cancellazione. Così facendo però il cinema si limita a rispecchiare l’attuale smarrimento dell’umanità. Non offre prospettive, neppure in funzione di pungolo e di deterrente per una società senza più slanci né speranze. Allora come potrebbe essere propositivo senza essere alienante, od offrire rassicurazioni a buon mercato, o rifugiarsi in inconsistenti orientalismi?  Mancando lo spazio per un’ottava scelta, inserisco qui la mia risposta che trovo nei cosiddetti film “angelicati”. Quelli cioè che parlano di angeli discesi per interagire con gli uomini. Un motivo ricorrente di questo genere di storie è l’attrazione di questi esseri, visti come sessuati, per la fisicità delle sensazioni umane e per il modo come compongono il rapporto tra l’amore e la morte. Nei film crepuscolari alla Blade Runner la condizione umana ispira pessimismo per le prospettive future. Gli uomini sono incapaci di amarsi, di comunicare, di riconoscere dignità e di rispettare i diversi come gli androidi; non hanno considerazione per la loro sensibilità. Nei film angelicati, gli angeli non sottovalutano lo stato di degrado in cui versa l’umanità ma non la disprezzano; le riconoscono una dignità sostanziale che neppure la presenza del male può del tutto cancellare. Sono persino disposti a rinunciare alla propria immortalità per condividere l’amore più intimo con una creatura umana. Fa così Damiel per amare Marion ne “Il cielo sopra Berlino”; fa così Seth per conquistare il cuore di Maggie ne “La città degli angeli”; se avesse potuto l’avrebbe anche fatto Dudley, ne “La moglie del vescovo”, avvinto dalla persona di Julia, la moglie del vescovo Brougham a tutt'altre faccende affaccendato. Ci troviamo evidentemente di fronte ad un’aberrazione dottrinale, in quanto gli angeli biblici possiedono una gloria, una dignità e una potenza, e quindi una capacità di amare e di sentire, a cui semmai l’uomo dovrà aspirare. Ma questo tema dovrebbe ricordarci che molti anni fa un arcangelo, di natura divina, rinunciò davvero alla propria immortalità per amore degli uomini, per aiutare questi a superare i propri limiti; dapprima morali e, in prospettiva, anche fisici. 

Presenti 7 film. Magnifici.

1.Un minuto dopo mezzanotte

  • Commedia
  • USA
  • durata 92'

Titolo originale 12:01

Regia di Jack Sholder

Con Jonathan Silverman, Helen Slater, Martin Landau, Paxton Whitehead

Un minuto dopo mezzanotte

Al di là del tempo. Qui siamo nel paradosso temporale, con possibilità di cambiare gli eventi, come "Ricomincio da capo", "If only" o il nostro "È già ieri". V’è poi la possibilità di sbirciare sul come sarebbe potuto essere senza di noi o con un diverso modo di porci nei confronti della vita, come in "La vita è meravigliosa", "Mr. Destiny", o "The Family Man". Altro limite temporale infranto è quello di due persone che s’incontrano pur appartenendo a secoli diversi, come in “Kate & Leopold”, o anche a molto meno, come i protagonisti de "La casa sul lago del tempo", che condividono gli stessi spazi fisici ma sfasati di due anni e che finiranno per incontrarsi con la misteriosa complicità d'una buca delle lettere. V’è poi il salto temporale indotto dalla brama dei ragazzini di saltare a piè pari tutta la fase dell’adolescenza, piena di limiti, di proibizioni e di frustrazioni. Vengono così accontentati ritrovandosi con le loro testoline, in un batter d’occhio, nel corpo di un adulto; riuscendo a conquistare con la loro disarmante ingenuità l'insegnante del cuore o la collega di lavoro, così come in “Un ragazzo sulla trentina", in "Da grande", o in "Big". O, ancora, proiettandosi nel futuro, come in "30 anni in un secondo".

2.Insonnia d'amore

  • Commedia
  • USA
  • durata 104'

Titolo originale Sleepless in Seattle

Regia di Nora Ephron

Con Tom Hanks, Meg Ryan, Ross Malinger, Bill Pullman

Insonnia d'amore

In streaming su Amazon Video

vedi tutti

Giocato sui limiti spaziali e sugli incontri destinici. Annie non sa se credere alla casualità degli eventi o a quelli che paiono essere segni del destino. Fatto sta che la distanza che separa  Baltimora da Seattle, ovvero lei da Sam, vedovo inconsolabile, si annulla sulla terrazza dell’Empire State Building, come per caso ma nel giusto momento. Così come avvenne a Cary Grant e a Debora Kerr in “Un amore splendido”. Anche "Sliding Doors" appartiene allo stesso filone con la complicazione del what if. Ne "La più bella serata della mia vita", inquietante gioiello del nostro Ettore Scola, il destino, non più Eros ma Thanatos, si prende gioco di chi s'è preso gioco della vita.

3.Tentazioni d'amore

  • Commedia
  • USA
  • durata 128'

Titolo originale Keeping the Faith

Regia di Edward Norton

Con Ben Stiller, Edward Norton, Jenna Elfman, Eli Wallach, Anne Bancroft

Tentazioni d'amore

Sui limiti delle convenzioni sociali, in questo caso religiose. Memorabile la scena del coro gospel che si esibisce di fronte all’assemblea allibita della sinagoga. Ma di segno analogo anche i limiti culturali, come in "Genio per amore", o di ceto come in "Angeli con la pistola" o in "Overboard", o di categoria come in "Un poliziotto fuori di testa", o fisici come in "Non dirle chi sono", o d'età come in "Twinky".  Tutti limiti che tendono ad attenuarsi finché regge la forza dei sentimenti positivi.

4.Può succedere anche a te

  • Commedia
  • USA
  • durata 101'

Titolo originale It Could Happen to You

Regia di Andrew Bergman

Con Nicolas Cage, Rosie Perez, Bridget Fonda, Isaac Hayes

Può succedere anche a te

In streaming su Amazon Video

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Sui limiti dei legami relazionali, in qualche modo anch'essi condizionati dai valori e dalle convenzioni sociali. In un ambiente dominato all'avidità, i due protagonisti in controcorrente hanno il destino dalla loro e alla fine si emancipano dai legami opportunistici.  In “Cara mamma mi sposo” le convenzioni sociali sono usate strumentalmente dalla madre del protagonista per scongiurare l’instaurarsi di una relazione sentimentale con una dolce e timida ragazza, ma di radici italo-polacche e che svolge un’attività sconveniente (lavora nell’impresa di pompe funebri del padre), per perpetuare il loro legame che lei intende indissolubilmente esclusivo. Anche in “Un amore tutto suo” i limiti dei legami relazionali condizionano fortemente  lo svolgersi della storia. La protagonista, orfana derelitta a Chicago e persona profondamente sola accetta passivamente il coinvolgimento in un equivoco che le offre l’opportunità di godere degli affetti e delle attenzioni su di lei profusi da una famiglia che lei ammira poiché ad essa appartiene il giovane di cui lei è segretamente innamorata.

5.Il segreto del mio successo

  • Commedia
  • Gran Bretagna
  • durata 105'

Titolo originale The Secret of My Success

Regia di Andrew L. Stone

Con James Boot, Lionel Jeffries, Amy Dalby, Richard Jordan

Il segreto del mio successo

Sui limiti caratteriali e dei valori costretti a confrontarsi con un'altra realtà vicina nello spazio ma eticamente agli antipodi. Utile elemento di contrasto le comunità agricole austere e fuori dal tempo di amish, mennoniti o utteriti. Godibili a proposito i film "In ricchezza e povertà" (1998) e "Marito a sorpresa" del 1994. Mentre ne "Il segreto del mio successo" (1978), dove questo confronto manca, viene sanzionato l'eccesso di rapacità e d'opportunismo ma salvando il modello cinico del rampantismo yuppie.

6.Lucas

  • Sentimentale
  • USA
  • durata 100'

Titolo originale Lucas

Regia di David Seltzer

Con Corey Haim, Kerri Green, Charlie Sheen, Winona Ryder, Courtney Thorne-Smith, Tom Hodges

Lucas

Sui limiti e sullo scorrere delle stagioni della vita e sulla crescita basata dall'esperienza della perdita. Qui presenta le asperrime angosce dell'adolescenza, sospinta dalle misteriose sensazioni biologicamente determinate, senza il conforto di un'esperienza che si accumula nel tempo e con fatica. Tale bagaglio esperienziale comincia a scorgersi in "Autumn in New York" ove, negli anni della maturità e della responsabilizzazione, la perdita della persona amata s'identifica con la sua morte fisica. Alla fine di questo tracciato porrei "Viaggio in Inghilterra", dove il percorso di crescita si frammischia alla dolente presa di coscienza sul destino effimero della vicenda umana.

7.Blade Runner

  • Fantascienza
  • USA
  • durata 124'

Titolo originale Blade Runner

Regia di Ridley Scott

Con Harrison Ford, Sean Young, Rutger Hauer, Daryl Hannah, William J. Sanderson

Blade Runner

IN TV Sky Cinema Collection

canale 303 vedi tutti

Riflettendo sui limiti della natura umana e sull’eventuale loro superamento. Sulla libertà di autodeterminarsi. Sull’umana paura di morire. Mezzo di contrasto sono gli androidi, come Rachel, che per la loro perfezione tecnologica sostanzialmente non si differenziano dagli uomini. Se anch’essi possiedono sentimenti, se possono piangere, se hanno ricordi sia pure innestati ma che essi ritengono autentici, cosa impedisce che anch’essi possano essere amati anziché “ritirati”?  Significativa la loro ossessione per le foto che fanno da trait d’union con il passato, sia pure fittizio. Rachel porta sempre con sé la foto che mostra della sua infanzia, con la madre, sugli scalini di casa. Già, la madre. La mente corre a David, il bambino androide di A.I. Artificial Intelligence. Tecnicamente un congegno ma in realtà una vera creatura cosciente e sensibile, ossessionato dall’idea di dover perdere un giorno la madre umana adottiva e quindi il suo affetto: “Quanto vivrai? Un giorno morirai? Spero che non morirai mai, mamma; tienimi al sicuro, dimmi che non resterò solo”.  Ma la madre umana lo lascia solo, ben prima della propria morte naturale. Ecco perché agli uomini, incapaci di curarsi dei sentimenti altrui, per inciso, non sarà mai consentito di creare congegni coscienti e sensibili. E qui entra prepotente il tema del male, della violenza che gli umani tendono ad esercitare su ciò che non riescono a controllare, ma, a dirla tutta, anche su ciò che controllano.  E allora ritroviamo anticipate le atmosfere sinistre di Blade Runner in Orwell 1984. Qui sono gli stessi uomini ad essere ridotti ad automi, educati a non pensare liberamente, a non amare. Così quando Winston viene sorpreso ad amare Giulia dovrà pagare con la vita come si conviene in un tipico progetto collettivista che annulla l’individuo. Non prima però d’aver confessato il suo tremendo delitto al grande inquisitore, perfido aguzzino dai modi paterni. Anche Logan, ne La fuga di Logan, preferisce insieme a Jessica i rischi della libertà  alla rassicurante menzogna del Carousel, mistificante mattanza dei trentenni spacciato per rito di rinascita, in una società ove ogni comfort è assicurato ai suoi abitanti purché rispettino la legge suprema che vieta a tutti d’invecchiare.  Ma tornando a Blade Runner, quando Rachel si rende conto d’essere un androide cede alla disperazione. È questo il dramma dei cyborg: scoprire di essere degli oggetti, alla mercé dell’uomo creatore sebbene non necessariamente superiore. Anzi, l’umanità è qui rappresentata come una specie al crepuscolo ormai geneticamente degenerata. Fa eccezione il “blade runner” Deckard che, però, si scoprirà essere pure lui un androide. Viene in mente un telefilm di molti anni fa, forse dal titolo “La vita sul filo”,  che raccontava di un uomo che intuisce di essere un individuo virtuale di una realtà virtuale esistente all’interno di un elaboratore. Egli riesce a comunicare con il tecnico informatico che governa la macchina e determina gli eventi; in qualche modo riesce a compiere il salto che lo porta fuori in quello che egli ritiene essere il mondo reale per scoprire, però, che anche questa realtà è virtuale, rispetto ad un'altra di livello superiore come in una sorta di architettura a scatole cinesi. Qui ciò che appare reale in un dato livello è invece virtuale per un altro livello. Il risultato è l’inevitabile incertezza sulla propria e sull’altrui identità. “Non so chi sono, non mi ricordo”, “Tu non sei vero”, “Sei tu che non sei vero”: si rinfacciano i personaggi di Nirvana, il film di Salvatores che in parte sicuramente s’ispira a questo racconto. Qui però il protagonista, Solo, non aspira al salto dimensionale bensì all’annichilimento. In fondo, sembra dire Salvatores, non è che tra il mondo virtuale e quello reale le differenze siano così radicali. Solo, commenta il compianto Kezich, “incarna con dolente buffoneria e vulnerato buonsenso il diffuso malessere del nostro mondo come ci appare nei momenti di pessimismo: un contesto dai destini segnati, irrespirabile, senza più slanci né speranze. Una società suicida che non crede più alla propria possibilità di palingenesi, ma sogna soltanto di farsi assorbire e placarsi in quell’universo superiore chiamato Nirvana dai cultori di orientalismi”.  Il filo conduttore di questa riflessione che immagina il futuro è in ogni caso la fuga, quanto meno tentata, da una realtà opprimente verso una qualche forma di liberazione o di trasmutazione. Il piccolo David abbandonato nel bosco, rammenta la fiaba di Pinocchio che la madre gli leggeva a letto, e va alla ricerca della Fata Turchina che faccia diventare anche lui un bambino reale per essere amato appieno dalla mamma adorata. Alla fine del suo lungo viaggio irto di pericoli e dopo un sonno lungo dei secoli, incontrerà degli alieni benevoli che, nonostante la loro avanzata tecnologia, non potranno realizzare che in modo illusorio e per un breve istante il suo sogno. Il futuro intravisto in tutti questi scenari è comunque insoddisfacente: la specie umana è in estinzione e persino gli automi sperano nella magia, parente povero della religione. Tutt’al più può esservi qualche incursione nella spiritualità New Age con la prospettiva dell’assorbimento in una condizione di quiete impersonale con lo spegnimento di tutti i ricordi, i sogni e gli affetti di ogni uomo transitato per un breve istante su questo sciagurato pianeta.

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