Un giorno che avevo già passato i bastioni del Teatro Argentina, più di 140 metri a 186 gradi da Feltrinelli, mentre il Saggio parlava, il Ragazzo che Piegò la Moira pensava e dell’Aruspice arrivavano solo notizie di infausti segni di impedimento, rinvenimmo una vecchia carta probabilmente araba, dai cui segni mal tracciati si evinceva trattarsi di un arcano e lungimirante percorso. Consci che poteva trattarsi di un ritrovamento essenziale per l’incedere errabondo dell’Umanità, scartammo l’ipotesi che si trattasse solo del mio foglio di appunti per le consegne dell’ortofrutta e mozzarella, scritte guidando il furgone sui sampietrini, per quanto fuorisciva proprio dalla mia tasca a ciò preposta – e gli adepti sanno che io scrivo tutto quasi in arabo, ad iniziar dai numeri - e dopo un grande sforzo esegetico, avemmo questa intuizione, che finora nessuno aveva ancora avuto il coraggio di esibire. Porrò dunque rimedio, pregando gli allora convenuti, se mai fossero ancora raggiungibili da questi siti (e non irrimediabilmente dediti alle facce di Buck) di voler integrare quel che fu anche il loro guizzo d’ingegno
Non basta un caffè da banditi per far restare chi non resta e per fermare chi e cosa non si ferma. Né per capire quali sono i nuovi rumori di quest’altra casa troppo grande.
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