Con Danny DeVito, Jim Carrey, Courtney Love, Paul Giamatti
Allergia all'ipocrisia della gente che vuole ridere, senza pensare. Perché non sono i buffoni che cambiano il mondo, lo concimano solo. Mentre gli uomini sulla Luna ribaltano i tappeti, diffondono il virus, regnano nella polvere.
Allergia alla normalità. La normalità sottodotata delle facce in tv e delle patetiche anonime comparse che sulla scia dei loro sorrisi di cartone sognano di vendersi, di unirsi al baraccone dei "vincenti". Quando vincere è da pupazzi, e perdere da uomini.
Con Julianne Moore, Xander Berkeley, Peter Friedman, James LeGros, Mary Carver
Allergia alle propaggini tentacolari di una tecnologia totalizzante, neutra fuori e gonfia di batteri dentro, infido manto di perfezione ed efficacia su un presente ingovernabile, esposto a fluttuazioni quantiche terrorizzanti.
Allergia al futuro, al progresso, all'aprirsi di sé. Vivere sul fondale dipinto di un tempo che non passa, di un'evoluzione troncata. Tripudio di asfissia nel film più politico (e più riuscito) di Shyamalan.
Allergia alla retorica, al trombonismo fasullo dei ragionamenti "embedded" di tutti i servi del padrone. Nessuna bandiera che sventola patriottarda alla fine della storia come nell'entertainment finto-liberal di uno Spielberg qualunque. Solo frammenti di verità che ti esplodono in faccia come emoglobina.
Allergia all'istituzione. Che tutto normalizza, tutto attenua, tutto desertifica e tutto schiaccia. In nome di un'autoconservazione della specie che imbalsama prototipi come mummie, come morti viventi. Quando alzarsi in piedi su un banco non solleva la vista di un metro ma di un mondo di più.
Allergia alla vita, anzi a QUESTA vita. Ma si può ancora scegliere di non scegliere la vita? Si potrà mai domare un sacrosanto rigetto con il balsamo di un futuro diverso, alternativo, "altro"? Per adesso continuiamo a rovinarci la pelle con le rate, il lavoro, la macchina, la famiglia la carriera la polizza vita il colesterolo basso e un maxi televisore del càzzo.
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