Quand’ero ragazzo andavo a vedere i film provenienti dal Sundance Film Festival (nome che identifica il cinema indipendente americano sviluppatisi agli inizi degli anni 80) per la fascinazione derivante dal loro minimalismo formale e per l’understatement con cui affrontavano i problemi del mondo. Uno straniamento comprensibile per chi come mè era vissuto nell’era del Blockbuster, in cui i film assomigliavano ad un circo equestre ed i registi vi stavano come esperti domatori. Un cinema esagerato ed esasperato che trovò il suo contraltare nelle piccole produzioni indipendenti che il festival di Robert Redford aveva avuto il coraggio di promuovere e che a poco a poco divennero una vera e propria alternativa al trend del cinema mainstream. Popolato da personaggi un po’ bizzarri e quasi sempre a disagio nei confronti della vita il cinema modello Sundance trovava la sua forza nella necessità di superare la pochezza delle risorse economiche e la diffidenza di un pubblico abituato al prodotto spettacolare. Era il cinema dei Soderbergh, dei Kevin Smith dei Solondz (“Fuga dalla scuola media” ma anche “Storytelling”) e di Tarantino, ma anche di registi che vissero un successo effimero, potrei citare per esempio il Rockwell di “In the Soup”, l’Harmony Korine di “Gummo” e il Ray Lawrence di “Lantana”, ma che furono capaci di realizzare opere estremamente personali. Il pubblico reagì in maniera insperata ed il successo al botteghino (Sesso Bugie e Videotapes costò 1,2 milioni di dollari e ne incasso 25 in America ed altri 100 nel resto del mondo) attirò l’interesse delle Majors da sempre alla ricerca di mercati alternativi: d’apprima parteciparono alla distribuzione poi fiutando l’affare arrivarono a creare case di produzioni ad hoc per questo tipo di prodotto dando vita a Fox Searchlight creata dalla Twentieth Century Fox, Paramount Classic una ramificazione della Paramount Picture, Sony Picture Classics una divisione della Sony Pictures ecc, o ad acquisire le storiche New Line e Miramax (1993) che di fatto riportarono il cinema indie all’interno della grande produzione raffreddando in qualche modo lo slancio anarchico che ne caratterizzò le origini. Da quel momento le produzioni a basso budget divennero più che altro una palestra dove gli attori di successo potevano sfogare le proprie pretese artistiche e quelli in erba preparare il grande salto hollywoodiano. Il numero dei film da ricordare divenne sempre più rarefatto mentre per la maggior parte vide un rapido passaggio nelle sale per poi finire tra gli scaffali dei negozi di homevideo. Una corrosione lenta ma inesorabile che oggi ci mette sempre più spesso davanti a film come “Soffocare” di Clark Gregg tratto dall’omonimo libro di Chuck Palahniuk in cui il modello del cinema Indie non è il presupposto ma solamente la forma con cui conviene vendere il prodotto. Cosi la materia incandescente (in Soffocare il protagonista è un sessuomane che finge il soffocamento per guadagnarsi l’affetto e soprattutto i soldi dei suoi soccorritori) che in passato avrebbe trovato proprio nella marginalità del settore la possibilità di essere esplicitata, viene resa presentabile e quindi vendibile (il disordine sessuale finisce per essere tale solo a parole mentre nella pratica risulta totalmente innocuo e quasi ordinario nella sua ripetitiva compulsività) attraverso un lavoro di pulitura che lo trasforma in un surrogato di un cinema che vorrebbe essere diretto ma risulta buttato là in maniera ruffiana e senza un minimo di impegno. Gli andirivieni tra l’ospedale in cui è ricoverata la madre malata di Alzahimer (inutilmente interpretata da Angelica Huston) ed il parco a tema dove lavora come figurante in un improbabile ricostruzione dell’America dei Padri Pellegrini sono il pretesto per una serie di scenette picaresche e surreali in cui Victor Mancini compierà la sua “rivoluzione sessuale” e farà pace con un esistenza fin lì avara di soddisfazioni. I movimenti di macchina pressocchè inesistenti e la semplicità delle inquadrature, a sottolineare la natura naive dei protagonisti, la fotografia dominata da tonalità autunnali per accentuare la malinconia di esistenze alla deriva sono solo la buccia di un frutto andato a male.
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