Una sera di inizio anni Novanta, in un vicolo vicino a Via Veneto, a Roma, viene trovato rannicchiato per terra un vecchio ubriaco. Qualcuno lo riconosce: è Dana Andrews, un ex divo di Hollywood. Poco dopo, muore per una polmonite e devastato dall'Alzheimer.
Ma se noi cinefili anzianotti lo ricordiamo bene, i giovani dovrebbero scriverselo a lettere cubitali questo nome. In dieci anni ha interpretato alcuni dei migliori ruoli di sempre. La sua è una maschera dolente, di persona buona e generosa, incapace di odiare e serbare rancore. Un ex-pilota di un B-17 che si trova a fare il gelataio e che subisce l'umiliazione da un suo presunto amico di non frequentare la donna che ama, dopo che sua moglie lo ha mandato al diavolo, è una storia che molti conoscono bene. Le labbra serrate, lo sguardo perduto: non ci capisce più nulla. E allora prova a ritrovare, anche se per brevi istanti, il suo passato salendo su una vecchia carcasssa di B-17. Ma la guerra gli ha portato via i mgliori anni della sua vita. E miglior sorte certo non gli tocca quando, in ALBA FATALE, viene accusato ingiustamente di furto di bestiame e, visto che siamo nel West, sottoposto a giudizio sommario e impiccato. Prima di morire scrive una lettera alla sua donna, struggente, infinitamente intensa che ancor oggi (mi) commuove. Il suo sguardo disperato verso chi sta per linciarlo e l'impotenza di Henry Fonda. Momenti indimenticabili di un cinema straordinario, ancora oggi. Oggi il nostro cuore è indurito, aduso a vedere schizzi di sangue, corpi smembrati, dialoghi da bimbo elementare; eppure, assistere ad una scena di linciaggio, diretta in modo così asciutto e realistico da William Wellman (forse il suo capolavoro assoluto) fa ancora effetto. .
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