Le forze del male
- Drammatico
- USA
- durata 78'
Titolo originale Force of Evil
Regia di Abraham Polonsky
Con John Garfield, Beatrice Pearson, Thomas Gomez, Marie Windsor, Howland Chamberlain
Ci sono “colpe” in ogni caso impossibili da riscattare tanto sono vergognose e arbitrarie…. Esistono “responsabilità morali” che non possiamo assolvere né condonare, tanto sono bieche e abiette: il maccartismo è una di queste, una macchia nera indelebile che nessun candeggio riuscirà a far diventare meno “persistente” nonostante il tempo (e le riabilitazioni postume, comunque incapaci di mitigare il dolore, l’emarginazione, le frustrazioni che hanno determinato scientemente). I danni sonno stati profondi, e perversamente pretestuose le motivazioni che stanno alla base di siffatte aberrazioni ideologiche che hanno creato conflitti devastanti (e rovinosi cedimenti) non solo nelle “vittime”, ma anche in coloro che non erano sufficientemente forti o determinati per “resistere” alla pressione, e sono stati costretti per questo (per paura e codardia, più che per bieco tornaconto personale, anche se non è stato certamente un elemento secondario nemmeno quello), alla delazione più infame pur di salvarsi il deretano (Kazan o Dmytryk, per esempio, perché il “dopo” che ha seguito quell’atto, è stato sempre pregnato da un senso di “vergogna” tangibile e pressante, quasi un ripiegamento sconsolato di chi non ha più sufficiente autostima e grinta per essere davvero e fino in fondo quello che era prima). Possiamo quindi ben dire che nessuno è passato davvero indenne da quella tragedia epocale. “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”. Sono parole che Brecht fa pronunciare a Galileo dopo l’abiura….. e certamente l’America di quegli anni ne ha avuti molti di “conigli” infingardi riprovevoli e osceni col loro smaccato opportunismo che hanno fatto di peggio - e per molto meno - persino della decenza (figuriamoci dell’eroismo!!!), ma ha potuto fortunatamente contare anche su un manipolo di intransigenti idealisti che hanno invece rivendicato a viso aperto il loro diritto ad essere uomini “d’onore” (non in senso mafioso ovviamente) e di conseguenza, quello di arrogarsi l’irrinunciabile prerogativa di restare coerenti fino in fondo alle proprie idee e convinzioni, anche se ciò ha significato subire l’onta del “marchio” e le feroci conseguenze - oltre che le altrettante privazioni - che ne sono derivate. Abraham Lincoln Polonsky (sì, per “ironia” della sorte, il suo esatto nome di battesimo “riproduce” integralmente proprio quello del presidente Lincoln, e può sembrare una beffa per come si sono messe le cose, per quanto è stato malamente ricompensato) è uno di questi “indomiti”, fra i più famosi e “celebrati” insieme a Dalton Trumbo”, dei dieci nomi che furono inseriti nella abominevole “lista nera” (e dichiarati per questo “non graditi”) per attività sovversiva e antiamericanismo!!!!!!!! Allontanati dal lavoro come veri e propri malviventi semplicemente per avere professato delle “idee”, per essere stati feroci critici verso il capitalismo e le sue derive (che proprio adesso siamo in grado di valutare per ciò che di veramente nefasto ha rappresentato e rappresenta, se non altro per come è stato condotto e “sostenuto”, determinando la crisi profonda che ci sta strozzando) hanno dovuto subire, rinunciando a speranze e ambizioni che avrebbero potuto dare frutti magnifici in quegli anni fecondi, proprio come è accaduto a Polonsky, appunto. Di origini ebraico/russe (classe 1910), il “nostro”, pur essendosi laureato in legge, si dedicò precocemente - e anche prevalentemente - alla scrittura, facendone il suo “terreno di adozione”, poiché molto più aderente ai suoi bisogni anche ideologici, degli aridi confini legal-burocratici che avevano definito il suo percorso di studio. Il suo primo romanzo (“The goose is cooked”) è del 1940 (e viene dopo un’ampia produzione di saggi, racconti e radiodrammi), mentre la prima sceneggiatura per il cinema che realizzò è del 1947 (uno straordinario contributo critico per un titolo altrettanto importante: “Anima e corpo”, fra i migliori di Robert Rossen - regista - e di John Garfield - interprete - due dei compagni di strada e di ideologia che condivideranno con lui sorti e destini, sia pure con differenti decisioni ed “esiti”: Garfield sarà così sconvolto dagli eventi e dagli ingiusti sospetti di “cospirazione”, da morire per infarto prima di arrivare all’udienza della commissione di inchiesta presieduta dal famigerato senatore McCarthy che doveva “incriminarlo”). “Anima e corpo” è (giustamente) ricordato negli annali della storia del cinema non solo per essere uno dei più critici e duri film sul mondo della boxe, ma anche per la capacità indotta di suggerire un parallelo fra quella realtà e il capitalismo rampante americano, analogamente cinico e feroce. La sceneggiatura, densa e pregnante, gli valse persino una candidatura all’Oscar (non male per un debuttante, no?). Passò così facilmente alla regia (diventando in toto autore a 360 gradi dell’opera che doveva rappresentare) appena un anno dopo (nel 1948) con “Le forze del male” che annoverava ancora il nome di Garfield quale interprete principale. Il successo commerciale fu in patria piuttosto tiepido, ma la risonanza critica debordò invece deflagrante con straordinaria pregnanza soprattutto in Europa, dove l’opera venne acclamata come un capolavoro assoluto. E’ indubbiamente un film che mantiene intatta ancora oggi tutta la sua forza dirompente, quasi un saggio programmatico sulla corruzione (e il capitalismo), potremmo definirlo: indiscutibilmente uno dei più politicizzati film di gangster prodotti dalle major hollywoodiane in quegli anni, e non solo. Eppure, nonostante il talento e le idee, per poter approdare a una nuova regia gli ci vollero oltre venti anni di attesa (e di passione) perché la sua successiva opera, “Tell them Willie boy is here” poté vedere la luce solo nel 1969 (il contributo principale di questa tardiva rinascita, deve essere ascritto proprio a Robert Redford al quale va ancora una volta il nostro plauso incondizionato). Nel mezzo, infatti aveva dovuto subire i nefasti esiti di quella ingiuriosa “caccia alle streghe” che assegnava alle idee un peso “complottistico” e di sovversivismo indegno di un paese civile e liberale come si vorrebbe definire l’America (un principio “esemplare” molto spesso tradito nei fatti, purtroppo). Polonsky, da sempre marxista convinto, (e iscritto al partito Comunista fino dagli anni 30), per questa sua “ideologia” e per ciò che esprimeva con la sua opera, non per altro, si badi bene, fu convocato davanti alla funesta “Commissione per le attività Antiamericane” (anno di grazia 1951) e avrebbe forse potuto salvarsi in corner come accadde a tanti altri, ma si rifiutò invece, fiero e orgoglioso, non solo di abiurare l’dea, ma anche di testimoniare contro i suoi colleghi che era un po’ il pegno da pagare. Fu per questo messo all’indice, e di conseguenza reso inattivo e sgradito, impossibilitato a lavorare ancora a Hollywood non solo come regista, ma anche come sceneggiatore. Con la carriera troncata prematuramente, si barcamenò alla meno peggio e per cercare di sopravvivere, continuò a scrivere sceneggiature “conto terzi” (sotto falso nome o cedute ad altri), una pratica davvero umiliante che però mantenne guizzi di interessante inventiva creativa (fra le altre, è attribuibile a lui “Strategia di una rapina” di Robert Wise). Per poter essere nuovamente Polonski a tutto tondo però, fu necessario aspettare il 1968… e l’inverso “ricorso storico” di quel periodo. Il suo rientro (come sceneggiatore accreditato) avvenne proprio in quell’anno con “Squadra omicidi, sparate a vista” di Don Siegel, che precede di qualche mese anche il nuovo approdo alla regia, con un western “adulto”,straordinario e celeberrimo (“Ucciderò Willie Kid” in Italiano) che è anche una metafora penetrante proprio dell’odissea personale del suo autore e un ennesimo atto d’accusa appassionato e feroce contro la violenza e le storture della società americana. Un film invero non molto frequentato dalle programmazioni televisive di questi anni, ma che proprio da pochi giorni è di nuovo disponibile (per chi è interessato a “conoscerlo” ed apprezzarlo per quanto davvero merita) in una preziosa edizione Dvd della collana curata da Vieri Razzini (sua anche la presentazione) per la “Flamingo Video” della Teodora (distribuzione Cecchi Gori Home). Dopo questo nuovo exploit (non si percepiscono davvero i 21 anni di inattività di fronte alla modernità delle riprese, alla costruzione serrata,al la ricostruzione accurata dei conflitti e delle esasperazioni, e soprattutto all’utilizzo di una colonna sonora quasi dissonante efficacissima che nelle sequenze della fuga e dell’inseguimento diventa “azione” essa stessa) c’è stata però (purtroppo) una sola ulteriore regia (nel ’71) nella quale è difficile ritrovare la complessiva felicità creativa del “ritorno”, ma che si conferma comunque una saporosa e originale commedia picaresca piena di inventiva: “Il romanzo di un ladro di cavalli”, una coproduzione fra gli americani e l’Jugoslavia, che si avvale per altro di un cast molto eterogeneo: Yul Brinner e Marilù Tolo; Oliver Tobias e Jane Birkin; Eli Wallach e Serge Gainsubourg. Polonsky rimarrà attivo, ma solo come sceneggiatore (sempre più marginalmente comunque) fino ai primi anni ’80… poi lentamente uscirà silenziosamente (e questa volta volontariamente) dalle scene e dalle ribalte per spegnersi definitivamente il 26 ottobre del 1999. I riconoscimenti e le “tardive” riabilitazioni, insufficienti a colmare il divario, riguardano (ed è amaro constatarlo) proprio la fase finale della sua esistenza: nel 1997 (e solo allora) ottenne il reintegro ufficiale nella “Writters Guild of America” e poco tempo dopo, il premio alla carriera della “Los Angeles Film Critics Associations”. A noi resta il rimpianto di aver perso le “creazioni” che avrebbe potuto offrirci nei vent’anni dispersi, che rappresentano per lui proprio quelli della maturità.
Titolo originale Force of Evil
Regia di Abraham Polonsky
Con John Garfield, Beatrice Pearson, Thomas Gomez, Marie Windsor, Howland Chamberlain
Titolo originale Tell Them Willie Boy Is Here
Regia di Abraham Polonsky
Con Robert Redford, Katharine Ross, Robert Blake, Susan Clark
Titolo originale Romance of a Horse-Thief
Regia di Abraham Polonsky
Con Yul Brynner, Eli Wallach, Serge Gainsbourg, Jane Birkin
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