Cinema e pittura condividono lo stesso paradosso espressivo: fare di uno spazio chiuso (il quadro) il luogo della rivelazione permanente. Piccole illusioni di infinito. NB- Questa è una playlist a sei mani: Jay Gatsby, Z e il sottoscritto. Facile indovinare le pennellate...
Con Marcello Mastroianni, Jacques Perrin, Salvo Randone
Davanti a uno scorcio fiorentino di Rosai, Enrico attraversa la soglia del ricordo: la pittura si fa spazio da abitare con la memoria. Non più quadro, non ancora inquadratura: pura immagine mentale.
Kubrick dipinge la patina di un’Epoca sottoforma di rossori e pallori artificiali, cipria esagitata e pioggia di nei: nella realtà e nella sua rappresentazione la Verità si cela dietro sembianze artefatte.
Con Michel Piccoli, Jane Birkin, Emmanuelle Béart, Marianne Denicourt
Ritrarre il corpo nudo della giovane Marianne diventa per il pittore Edouard una meravigliata ossessione; il corpo reale non gli basta, non è vero abbastanza.
Non c'è niente di più banale che filmare un pittore insoddisfatto. Ferrara rende la banalità rivoluzionaria: nei film la pittura è sempre serva del cinema. Per ristabilire la parità dello sguardo non c'è che un modo: uccidere il padrone.
L’astrattismo non c’entra: Jarman rappresenta pittoricamente un’emozione interiorizzata nel colore, un’emozione che, durando nel tempo, porta infine il Tempo con sé: “Una pervinca. Blu. Sulla mia tomba”.
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