Gomorra
- Drammatico
- Italia
- durata 135'
Regia di Matteo Garrone
Con Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo
Un nuovo discorso? Sì. Poco importa che si abbia l’obiettivo di parlare riguardo qualcosa di tutt’altro che nuovo. Di cinema, vorrei parlare, e voi vi chiederete dove sia la novità. Il cinema è la più vecchia novità, così come tutte le arti cerebrali e figurative, perché vive in funzione del suo rinnovamento costante e duraturo. E dunque ciò che propone di innovativo risulta certamente la novità più dirompente. Specie negli ultimi anni ha serpeggiato, particolarmente nella cinematografia di casa nostra, una certa tendenza che ne ha messo in risalto una fondamentale caratteristica: la prevedibilità. Ma come? E “Gomorra”, e “Il divo”, e “Il caimano”, e “Romanzo criminale”, e “La meglio gioventù”, e “Buongiorno, notte” e via dicendo? Eccezioni che nobilitano un panorama pressoché piatto e monocorde. I talenti veri esplodono tardi, o meglio, vengono fatti esplodere tardi. E per esplosione si intende la giusta considerazione da parte di un pubblico troppo spesso miope e ritardato – i valenti Garrone e Sorrentino ne sono la dimostrazione. Ormai i due registi che hanno trionfato a Cannes rappresentano (o vengono rappresentati come) il num plus ultra della cinematografia nazionale. Perché? Ma perché hanno ricevuto l’incoronazione del pubblico, stimolato ad accedere alle sale per vedere due film con la F maiuscola, scosso dalla visione, entusiasta alla conclusione. Ruolo fondamentale l’hanno svolto i giornali, che, una volta tanto, non hanno giocato a sparare sull’Italia e si sono giustamente presi la briga di far conoscere anche ai non avvezzi di cinema due capolavori nostrani. Ma allora la critica serve? Ma come, non ci si lamenta da anni sull’inutile anacronismo di questo tipo di giornalismo? Eppure “Un’estate al mare”, creato per riportare orde di spettatori in sala, è risultato in fin dei conti quasi un insuccesso, e responsabilità è anche ascrivibile alla critica, che in gran parte ha meritoriamente massacrato lo scialbo film dei Vanzina. Ecco, proprio “Un’estate al mare” è la summa del cinema-che-non-vogliamo: stupido, bolso, ripetitivo, monotono, che spreca signori attori (come Proietti) in farsacce da quattro danari. Pur non essendo il peggio del peggio, il film dei Vanzina è la prova che non si può ancora avviare un discorso serio sul modo di concepire il cinema contemporaneo se si continuano ad occupare le sale con pellicole costruite per il sicuro successo e che si rivelano azzardate operazioni. Lasciando invisibili film come, che so, tanto per rimanere nell’ultima stagione, “Riprendimi” o “Chi nasce tondo” o “Il vento fa il suo giro”. Appunto quest’ultimo, “Il vento fa il suo giro”: sfidando il mercato, trovando faticosamente un suo spazio, rapendo una ristretta cerchia di appassionati che ne hanno cantato le lodi (chiamasi in gergo comune “passaparola”), ha vinto la sua battaglia. Non sarà mai un blockbuster, non ne aveva né i mezzi né tantomeno le ambizioni. Ma ha raggiunto un pubblico. Ma come diavolo ha potuto un film parlato pressoché in lingua ai più ostrogota seminare così bene? Ha evidentemente saputo intraprendere un nuovo discorso: cinema che vola basso per colpire alto un bersaglio ambiziosamente umile: avere un pubblico. Allora c’è un pubblico atto a farsi rapire da film come “Il vento fa il suo giro”! E dov’è? Ecco, appunto, dov’è? Dove si nasconde? È lo stesso che ha amato e fatto amare anche agli altri “Gomorra” e “Il divo”? Probabile. Se andiamo a riflettere, il pubblico del film di Diritti dovrebbe essere speculare a quello di Garrone. Sono cinema che parlano a due diverse culture, l’una settentrionale e l’altra meridionale, o no? No. Ovvio che no. Entrambi hanno sicuramente una matrice regionalistica, ma al contempo vivono in funzione di una visione ben più ampia del bacino d’utenza. “Gomorra” parla a tutti, non solo ai napoletani, parla a tutti quei cervelli pensanti che si indignano di fronte alla gratuità degli omicidi, allo zampillare imperterrito e crudele di un sangue cinico e freddo. Prima del film, c’era un libro di successo, e non va dimenticata la sollecitazione creata dalla pagina scritta. Però “Gomorra”-libro e “Gomorra”-film, pur basati sul medesimo soggetto, sono diversi nella loro essenza culturale e sociale. Sono due cose similmente diverse, solo chi ha letto Saviano e ha visto Garrone può carpirne le fondamentali differenze. E “Il divo”? A mio parere molto più dirompente della certamente strepitosa opera di Garrone, perché maggiormente sorprendente e capziosa, “Il divo” rappresenta lo sberleffo più impertinente e beffardo, eccentrico e rock, mai avanzato verso il potere, specie se questo è un potere immobile e spericolato da almeno mezzo secolo e più. Coraggio o temerarietà, qualunque dote sia, va annoverata a Sorrentino una significativa presa di posizione: fare un cinema che si rivolge a qualcosa di nuovo, di cresciuto a poco a poco e con grande difficoltà nelle paludi culturali delle televisioni commerciali. A suo modo, i Sorrentino e i Garrone sono i simboli di una resistenza che non stenta a demordere l’obiettivo prefisso. L’obiettivo è quello che dà il titolo a questo pezzo: un nuovo discorso. Concepire il cinema come qualcosa di trasversale ed aperto, che non si limita allo schermo e vola sulle ali del tempo. Si dirà: ma quali sono le istanze di questo nuovo discorso? Le risposte sono svariate, provo ad elencarle. Si chiede realismo, non so se neo. È anacronistico chiedere neorealismo nel 2008? Forse sì, anche perché troppe volte abbiamo assistito a vari neo-neo-neorealismo e via dicendo (Eraclito direbbe che non ci si bagna due volte nello stesso fiume, e che dunque il corso dell’acqua neorealistica è lontano). A questo punto chiederei a questo nuovo cinema un realismo che non sia fotografare la realtà con piglio documentaristico (sul documentario andrebbe impostato un altro discorso ancora), ma intercettare le emozioni di una società che cambia attraverso visioni realistiche. Si chiede passione civile. Nanni Moretti lamentava ultimamente l’assenza di un’opinione pubblica che si opponesse al regime silvioberlusconiano. Ecco, questo nuovo cinema può inaugurare un discorso che seriamente prenda in considerazione la formazione di una coscienza civile. Educare lo spettatore, specie se giovane, al rispetto delle regole umanitarie, al proseguimento di un fine comune e non personalistico, alla genesi di un pubblico che non si limiti al piatto pattume televisivo. Si chiede capacità di una narrazione fluida e coinvolta. Certo, si incensano giustamente i documentari che infiammano menti e cuori (“Vogliamo anche le rose”, “Per sempre” e “Un’ora sola ti vorrei” della Marazzi, l’opera di Pippo DelBono, “Craj” di Marengo, “Viva Zapatero!” della Guzzanti e via discorrendo). Ma il cinema di narrazione resta l’esempio più alto che abbiamo di cinema in senso lato, ossia un’arte che si costruisce lentamente, partendo da una storia e imbastendo i personaggi. Insomma, c’è bisogno di una nuova generazione di narratori che sappia afferrare le inquietudini e i sentimenti di un mondo veloce e forsennatamente impegnato, denunciandone gli eccessi e le mancanze (che sono troppi), evidenziandone gli esempi virtuosi. Tutto ciò filtrato mediante il potere della fantasia, l’immaginazione che sfida la realtà cercando di rubare ad essa le cifre caratteristiche ed essenziali. Si chiede di ravvivare il passato per conoscere il nuovo. Lo studio di ciò che è stato già fatto ieri è indispensabile per parlare dell’oggi e di quel che si ha l’intenzione di realizzare. Un grande passato dietro alle spalle è la condizio sine qua non per trattare quel che non ancora si conosce personalmente, ma che intellettualmente si è visitato mille volte. Si chiede sensibilità. Sensibilità di entrare nelle teste, chiederne in prestito le suggestioni e i turbamenti, cercare di realizzare un cinema che parli della propria interiorità seguendo un filo comunitario ed ecumenico. L’universalità in funzione del proprio io, ma, badate bene, non l’individualismo – lungi da me! –, bensì il bisogno degli altri per capire se stessi. E dunque la necessità di un cinema “amico” e complice. Il nuovo discorso che vorrei vedere concretizzato da artisti volenterosi è riassumibile così: una storia che abbia la capacità di emozionare e provocare intense impressioni, raccontata seguendo canoni di realismo che non sfondino la barriera del reale, mantenendo quel labile confine che separa verità e finzione, creando nello spettatore (che si fa parte del film, che comincia a vivere il film anche al di fuori della sala cinematografica) un pensiero, una riflessione sulla moralità e la coscienza di una società, pensare a ciò che è già accaduto per prevenire il presente. Storie piccole o grandi, non importa: c’è bisogno di storie. Importanti, imprescindibili, penetranti. Partire da qui per avviare un nuovo discorso. Partire da quei due splendidi punti di partenza che sono “Gomorra” e “Il divo”, ma anche “Private” e “Saimir”, “La ragazza del lago” e “Alla luce del sole”, "Pater Familias" o “La meglio gioventù” e “Il caimano”, “Buongiorno, notte” e “Romanzo criminale”. Che, a loro modo, esprimono ognuno uno stato d’animo di questo mondo (“Gomorra”: l’indignazione; “Il divo”: il simbolismo; “Private”: la comunicazione; “Saimir”: la formazione; “La ragazza del lago”: l’inquietudine; “Alla luce del sole”: l’ostinazione; "Pater Familias": le radici; “La meglio gioventù”: la memoria; “Il caimano”: la speranza; “Buongiorno, notte”: il buio; “Romanzo criminale”: l’eccesso – ma se ne potrebbero citare anche altri), malato e compromesso. Se sia il cinema a cambiare le cose, non lo so. Non lo posso sapere. Sperare che questo nuovo discorso riscontri un qualche interesse è un’ambizione importante. Riuscire a renderlo materia sarebbe bellissimo.
Regia di Matteo Garrone
Con Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo
Regia di Paolo Sorrentino
Con Toni Servillo, Anna Bonaiuto, Piera Degli Esposti, Carlo Buccirosso, Paolo Graziosi
Regia di Francesco Munzi
Con Mishel Manoku, Xhevdet Feri, Lavinia Guglielman, Anna Ferruzzo
Regia di Saverio Costanzo
Con Tomer Russo, Lior Miller, Areen Omari, Mohammad Bakri, Hend Ayoub
Regia di Marco Tullio Giordana
Con Luigi Lo Cascio, Maya Sansa, Sonia Bergamasco, Jasmine Trinca, Alessio Boni
Regia di Roberto Faenza
Con Luca Zingaretti, Alessia Goria, Corrado Fortuna, Giovanna Bozzolo, Lollo Franco
Regia di Nanni Moretti
Con Silvio Orlando, Jasmine Trinca, Margherita Buy, Elio De Capitani, Michele Placido
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