Ifigenia
- Drammatico
- Grecia
- durata 127'
Titolo originale Iphigenia
Regia di Michael Cacoyannis
Con Tatiana Papamoschou, Irene Papas, Kostas Kazakos, Costas Carras
Suggestivo e spettacolarmente convincente ma dall'oratoria troppo insistita
Ecco un altro dei tanti “possibili” carneadi che ambirei per un attimo sottrarre dalla vischiosa nebbia dell’oblio. Cipriota d’origine, Michael Cacoyannis ha avuto in origine qualche piccolo sprazzo di attenzione critica nei festival cinematografici internazionali (Cannes), ma anche un “attimo” di gloria internazionale che ha intrecciato fortemente il suo nome a quello di Theodorakis e del Sirtaki. La grossa notorietà, il regista (uno dei massimi esponenti della cinematografia greca d’esportazione) l’ha raggiunta proprio con “Zorba il greco” e il suo folclore ancestrale (pressoché universale successo di pubblico e qualche “sbavamento” critico eccessivo soprattutto in America, come testimoniano ancora oggi le tre stelle e mezzo attribuite dalla “inqualificabile” guida Film di Leonard Maltin, ormai approdata anche in Italia con tutti i suoi orrori e le sue omissioni). Il film ha indubbiamente goduto di una fama e di una risonanza di gran lunga superiore alle sue intrinseche qualità. Potremmo definirlo quindi poco più di una “furbetta” (e riuscita) operazione commerciale pseudo culturale che seppe coniugare al meglio una serie di elementi (folclore, esotismo di maniera, una ambientazione arcaica ben resa dal chiaroscuro contrastato delle fotografia, le accattivanti musiche di Theodorakis il fascino del sirtaki, le accattivanti prestazioni di interpreti affermati e non banali come Anthony Quinn, Alan Bates, Irene Papas e Lila Kedrova, l’assunto disincantato e drammatico del contesto) incapace però di riprodurre, con la sua epidermica trasposizione in immagini, tutte le implicazioni profonde del romanzo di Kazantzakin da cui trae origini. Non sono però in assoluto molto elevati i titoli della sua produzione arrivati fino a noi (o comunque vivi nel ricordo): oltre a quello della sua effimera affermazione planetaria che lo fece transitare come una meteora persino da Hollywood, ricordo il disastroso “Il giorno in cui i pesci uscirono dal mare”, un precedente piccolo “pasticcio” di coproduzione italo-greca (“Il relitto”) circolato però in Italia con l’attribuzione della regia – seppure sotto la supervisione di Cacoyannis – a Giovanni Paolucci (per motivi di carattere economico legati ai “rientri” statali), e i tre titoli (“Elettra”, “Le troiane” e “Ifigenia”) che costituiscono altrettanti adattamenti cinematografici di tragedie greche, realizzate in un arco di tempo abbastanza ampio e persino con alterne fortune e clamori. E’ però proprio su questo trittico che vorrei maggiormente soffermarmi, perché probabilmente rappresenta la sua cifra stilistica più personale ed emblematica. Partiamo allora proprio da “Elettra”, che passò anche da Cannes riscuotendo anche un discreto riscontro critico e che forse fra tutto ciò che è arrivato a noi resta ancora adesso il risultato più personale e interessante. Il regista ha realizzato infatti una più che convincente trasposizione in immagini del conosciutissimo testo di Euripide, che non riesce però a mascherare del tutto i limiti estetizzanti di una operazione di stampo “fortemente intellettualistica” e le inclinazioni al folclore e allo sfruttamento del “pittoresco melodrammatico” che inquinano qui in parte il risultato e che rappresentano caratteristiche che si trovano, con più o meno ridondanza, in tutta la sua opera. Tutto centrato sul rapporto fra colpa individuale e legami familiari e di sangue, è indubbiamente una originale rilettura interpretativa del “mito” molto più accattivante però nella sua parte visiva (le ambientazioni –fra le rovine della reggia di Micene e gli aridi campi dove Clitennestra ha relegato la figlia ribelle – sono davvero magnifiche) che non nell’assunto forse un po’ troppo didascalico e “pedante”. Il gioco degli interpreti poi (intensissima Irene Papas, capace di far rivivere la dolorosa essenza del personaggio con una immedesimazione quasi viscerale e una espressività fortemente coinvolgente), teso a raggiungere un risultato senza sbavature , commosso ma non enfatico, è certamente l’altro elemento di massimo interesse (oltre che la “drammaticizzato” fotografia di Walter Lassally) che “resiste” alle ingiurie impietose del tempo che passa, particolarmente ingeneroso con pellicole di questo genere, visto che nonostante l’appropriata aderenza di tutti gli attori alle caratteristiche di fisicità che definisco ogni personaggio, così importanti sullo schermo, alla resa dei conti, e malgrado le suggestive ambientazioni, la fissità delle tavole del palcoscenico si avverte fortemente, e rimane un nodo (quasi un “impaccio”) insormontabile che diventa oggi quasi una zavorra. “Le troiane” dei tre è forse il più imbarazzante: una declamatoria e artificiosa rilettura in chiave pacifista (sulla scia della rilettura sartriana e del paradigma Troia = Vietnam) che traspone sullo schermo una sua precedente realizzazione scenica per Broadway. Il cast è stellare (Kepburn, Redgrave, Boujould, Papas) ma non sufficiente a coprire i buchi anche ideologici di una visione troppo legata a una concezione “temporale” del pensiero e di un andamento irruente ma piatto che le lunghe tirate recitative, rende ancor più artificioso. “Ifigenia” è il titolo conclusivo (in ordine di tempo). Ancora una rappresentazione fortemente oratoria nuovamente aggiornata all’attualità (il parallelismo esplicito rimanda a volte direttamente ai riferimenti evidentissimi con il sessantottino movimento di protesta), ma evo0cativo nelle immagini, forse eccessivamente decorative, ma spettacolarmente convincente, quasi artificiose nella loro magniloquenza. Nuovamente la Papas fra le interpreti (Clitennestra) più defilata e di maniera. L’attenzione massima (e il pregio) va ricercato sotto questo profilo nel risultato raggiunto con l’acerba, ma significativa prova della giovane protagonista, un androgino corpo che rendeva totale giustizia alla statura del personaggio.
Titolo originale Iphigenia
Regia di Michael Cacoyannis
Con Tatiana Papamoschou, Irene Papas, Kostas Kazakos, Costas Carras
Suggestivo e spettacolarmente convincente ma dall'oratoria troppo insistita
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta