“HO CINQUANTADUE ANNI E MI DEDICO SERIAMENTE ALLA SCRITTURA DA QUANDO NE AVEVO VENTUNO. SPESSO MI CAPITA DI DOMANDARMI SE SCRIVERE STIA DIVENTANDO PIU’ FACILE. TEMO CHE LA RISPOSTA SIA NO. A QUANTO PARE SCRIVERE NON E’ UN’ATTIVITA’ CHE SI SEMPLIFICA CON L’ANDARE DEL TEMPO; NON E’ POSSIBILE ‘BUTTARE GIU’’ UN ROMANZO SOLO PERCHE’ FAI QUESTO MESTIERE DA QUALCHE DECENNIO. CERTE VOLTE MI PARE CHE LA QUESTIONE SI RIDUCA A UN PROBLEMA DI FORMA FISICA: SCRIVERE RICHIEDE UN’ENORME QUANTITA’ DI ENERGIA. INVECCHIARE NON AIUTA. E’ FONDAMENTALE CONVINCERSI DI AVERE TRA LE MANI QUALCOSA DI NUOVO, DI FRESCO, QUALCOSA CHE SIA DECISAMENTE DIVERSO DA TUTTO CIO’ CHE L’HA PRECEDUTO, ANCHE SE PUO’ TRATTARSI SOLO DI UN’ILLUSIONE. POI NATURALMENTE OCCORRERA’ SCAVARE PIU’ A FONDO OGNI VOLTA E COMPIERE RICERCHE ACCURATE PER ARRIVARE A UN MATERIALE CHE NON ASSOMIGLI A QUELLO GIA’ UTILIZZATO. CON IL PASSARE DEGLI ANNI SAI SEMPRE QUALCOSA DI PIU’ SULLE TUE ABITUDINI MENTALI, SULLA STRUTTURA DEI TUOI PENSIERI. DIVENTI MOLTO SCETTICO E VUOI EVITARE IL PIU’ POSSIBILE DI RIPETERTI. CONTINUO A CREDERE CHE TRA UN ROMANZO E L’ALTRO SIA NECESSARIO INSERIRE UN PEZZO DI VITA; MI PARE CHE OGNI ROMANZO DEBBA ESSERE SCRITTO DA UNA PERSONA LEGGERMENTE DIVERSA.” (Ian McEwan, Bbc Radio 3, novembre 2000) – A giudicare dai risultati (considerato che “Espiazione” - “Atonement” in originale – è stato dato alle stampe del 2001 e che ragionevolmente quando l’autore rilasciò l’intervista l’operazione di scrittura di questo romanzo ritenuto unanimemente – ed a ragione - il suo capolavoro) quelle che potevano essere valutate come interessanti considerazioni ma anche aprioristiche e preoccupate precauzioni preventive di uno scrittore consapevole di avere “molto osato”, si sono dimostrate ingiustificate esitazioni dettate forse dal timore sottinteso e tutt'altro che astratto, che da parte di lettori e critica ci potesse essere una non confacente capacità di “comprensione” (o preparazione strutturale) per apprezzare in maniera adeguata un’opera particolarmente “difficile” che – ma questo non era una novità - aveva l’ambizione di andare ben oltre le situazioni e i personaggi della storia narrata, “pretendendo" (e a mio avviso riuscendoci perfettamente) di farne una “riflessione” critica proprio sull’arte dello scrivere e sulle sue implicazioni ("Può un racconto cancellare una colpa? Non è forse lo scrittore come un dio davanti alla propria creazione, unico giudice? Se nessuno può condannarlo, certamente nessuno potrà assolverlo). A me sembra allora che la scrittura e lo stile di McEwan possano essere paragonati al vino: con l’invecchiare migliorano notevolmente perché l’autore riesce con la sua maturazione anche stilistica e il suo incidere sempre più in profondità con spregiudicata arditezza tematica, a rendere più palesi e percettibili “profumi” e “sapori” all’origine meno visibili e forse anche - a volte – leggermente irrisolti. Credo che sia facilmente intuibile da questa premessa che considero McEwan uno dei più problematici e innovativi scrittori della narrativa contemporanea mondiale e non solo per quella insolita capacità creativa che lo sostiene nella crescita e lo spinge ad esplorare nuovi territori ed a trovare inusuali forme di ricognizione per scandagliare le inquietudini e gli “abissi” che rendono tumultuosa e instabile la psiche umana. Non particolarmente prolifico (il che non è un demerito, ma un segnale che conferma la qualità superiore della sua ricerca “ispirativa” per niente inficiata dal successo internazionale raggiunto che spesso tende a forzare la mano agli autori di “cassetta” – e gli esempi sono numerosi e deprimenti - inducendoli a scrivere per scrivere, sotto la pressione degli editori, senza preoccuparsi troppo se avvertivano davvero la necessità - o avevano l’ispirazione - per cimentarsi in una nuova avventura narrativa) possiamo dire che ha avuto un rapporto “privilegiato” proprio con il cinema (anche se con risultati alterni, ma - mi sembra di poter affermare - mai del tutto banali, nonostante che a volte la troppa attenzione alla superficie – la trama “nuda e cruda” più che le implicazioni metafisiche sottintese – abbia notevolmente annacquato la portata del “messaggio”) visto che una grossissima fetta dei suoi romanzi (“Il giardino di cemento”, “Cortesie per gli ospiti”, “Lettera a Berlino”, “L’amore fatale”, il recente “Espiazione” proprio adesso sui nostri schermi, oltre a qualche racconto) ha trovato la via della “traspozione in immagini”, a volte con sceneggiatura dello stesso autore (a conferma della insolita capacità di possedere una “struttura” visiva delle parole che rende spesso – è il caso della scena iniziale dell’”Amore fatale” - più cinematograficamente risolto ciò che è espresso con la pagina scritta di ciò che “arriva” con la visione dallo schermo della stessa, fedelissima “esposizione dell’evento”), sempre e comunque affidati ad “adattatori” non ordinari, compreso Harold Pinter per “The Comfort of Stranger” di Paul Schrader ) ma solo raramente raggiungendo la corposità ambigua e spiazzante dell’originale. Ecco le mie “personali” preferenze in ordine decrescente.
Con Andrew Robertson, Charlotte Gainsbourg, Alice Coulthard, Ned Birkin
Decisamente il più aderente all’originale. Fra “eversioni” e “perversioni” adolescenziali, una regia quasi entomologica, crudele e tenera allo stesso tempo, che turba e inquieta.
Con Jonathan Pryce, Tim Curry, Rosemary Harris, Charlie Dore, Frank Finlay
Una scrittura in perfetta in sintonia con il mezzo espressivo al quale era destinata. Quasi un trattato di sociologia sull’Inghilterra dell’era Thatcheriana.
Lussureggiante e un po’ asfittico melodramma sulle e apparenze e la tragicità delle “bugie” solo in parte centrato. Discontinuo ma “intenso” nel risultato con momenti di magnifica e creativa “intuizione” e deprecabili scivolate nel banale.
Con Natasha Richardson, Rupert Everett, Christopher Walken, Helen Mirren
In streaming su CineAutore Amazon Channel
Erotico e rarefatto, sadico ed elegante. Uno Schrader che ben utilizza la labirintica ambivalenza degli scenari veneziani ma che va poco oltre lo sterile “esercizio di stile” in parte vanificato da una insopportabile colonna sonora.
Con Daniel Craig, Samantha Morton, Rhys Ifans, Alexandra Aitken, Susan Lynch, Bill Nighy
Inspiegabilmente sbilanciato sul versante del thriller e troppo semplificativo rispetto alle sconvolgenti implicazioni del romanzo. Un 'esposizione in “superficie” incapace di riprodurre tutte le suggestioni lacerate della scrittura.
Inaspettata scivolata di Schlesinger per un “progetto” che sembrava essergli particolarmente congeniale, ma risolto invece con troppe contaminazioni (e riferimenti) anche citazionistici (vedi il finale ribaltato alla “Casablanca”).
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