Boccaccio
- Commedia
- Italia
- durata 92'
Regia di Bruno Corbucci
Con Enrico Montesano, Sylva Koscina, Pascale Petit, Isabella Biagini
1313-1375
Nella città di Capsa in Barberia fu già un ricchissimo uomo, il quale tra alcuni altri suoi figliuoli aveva una figlioletta bella e gentilesca, il cui nome fu Alibech. La quale, non essendo cristiana e udendo a molti cristiani che nella città erano molto commendare la cristiana fede e il servire a Dio, un dì ne domandò alcuno in che maniera e con meno impedimento a Dio si potesse servire. Il quale le rispose che coloro meglio a Dio servivano che più delle cose del mondo fuggivano, come coloro facevano che nelle solitudini de’diserti di Tebaida andati se n’erano. La giovane, che semplicissima era e d’età forse di quattordici anni, non da ordinato disidero ma da un cotal fanciullesco appetito mossa, senza altro farne ad alcuna persona sentire, la seguente mattina ad andar verso il diserto di Tebaida nascosamente tutta sola si mise; e con gran fatica di lei, durando l’appetito, dopo alcun dì a quelle solitudini pervenne; e veduta di lontano una casetta, a quella n’andò, dove un santo uomo trovò sopra l’uscio, il quale, maravigliandosi di quivi vederla, la domandò quello che ella andasse cercando. La quale rispose, che, spirata da Dio andava cercando d’essere al suo servigio, e ancora chi le ’nsegnasse come servire gli si conveniva. Il valente uomo, veggendola giovane e assai bella, temendo non il demonio, se egli la ritenesse, lo ’ngannasse, le commendò la sua buona disposizione; e dandole alquanto da mangiare radici d‘erbe e pomi salvatichi e datteri e bere acqua, le disse: – Figliuola mia, non guari lontan di qui è un santo uomo, il quale di ciò che tu vai cercando è molto migliore maestro che io non sono; a lui te n’andrai –; e misela nella via. Ed ella, pervenuta a lui e avute da lui queste medesime parole, andata più avanti, pervenne alla cella d’uno romito giovane, assai divota persona e buona, il cui nome era Rustico, e quella dimanda gli fece che agli altri aveva fatta. Il quale, per volere fare della sua fermezza una gran pruova, non come gli altri la mandò via o più avanti, ma seco la ritenne nella sua cella; e venuta la notte, un lettuccio di frondi di palma le fece da una parte e sopra quello le disse si riposasse. Questo fatto, non preser guari d’indugio le tentazioni a dar battaglia alle forze di costui; il quale, trovandosi di gran lunga ingannato da quelle, senza troppi assalti voltò le spalle e rendessi per vinto; e lasciati stare dall’una delle parti i pensier santi e l’orazioni e le discipline, a recarsi per la memoria la giovinezza e la bellezza di costei ’ncominciò, e oltre a questo a pensar che via e che modo egli dovesse con lei tenere, acciò che essa non s’accorgesse lui come uomo dissoluto pervenire a quello che egli di lei disiderava. E tentato primieramente con certe domande, lei non aver mai uomo conosciuto conobbe e così essere semplice come parea; per che s’avvisò come, sotto spezie di servire a Dio, lei dovesse recare a’suoi piaceri. E primieramente con molte parole le mostrò quanto il diavolo fosse nemico di Domeneddio; e appresso le diede ad intendere che quello servigio che più si poteva far grato a Dio si era rimettere il diavolo in inferno, nel quale Domeneddio l’aveva dannato. La giovinetta il domandò, come questo si facesse. Alla quale Rustico disse: – Tu il saprai tosto, e perciò farai quello che a me far vedrai –; e cominciossi a spogliare quegli pochi vestimenti che aveva, e rimase tutto ignudo, e così ancora fece la fanciulla, e posesi ginocchione a guisa che adorar volesse e dirimpetto a sé fece star lei. E così stando, essendo Rustico più che mai nel suo disidero acceso per lo vederla così bella, venne la resurrezion della carne, la quale riguardando Alibech e maravigliatasi, disse: – Rustico, quella che cosa è che io ti veggio che così si pigne in fuori, e non l’ho io? – O figliuola mia, – disse Rustico – questo è il diavolo di che io t’ho parlato. E vedi tu? ora egli mi dà grandissima molestia, tanta che io appena la posso sofferire. Allora disse la giovane: – Oh lodato sia Iddio, ché io veggio che io sto meglio che non stai tu, ché io non ho cotesto diavolo io. Disse Rustico: – Tu di’vero, ma tu hai un’altra cosa che non la ho io, e haila in iscambio di questo. Disse Alibech: – O che? A cui Rustico disse: – Hai il ninferno; e dicoti che io mi credo che Iddio t’abbia qui mandata per la salute della anima mia, per ciò che se questo diavolo pur mi darà questa noia, ove tu vogli aver di me tanta pietà e sofferire che io in inferno il rimetta, tu mi darai grandissima consolazione e a Dio farai grandissimo piacere e servigio, se tu per quello fare in queste parti venuta se’, che tu di’. La giovane di buona fede rispose: – O padre mio, poscia che io ho il ninferno, sia pure quando vi piacerà. Disse allora Rustico: – Figliuola mia, benedetta sia tu; andiamo dunque, e rimettiamlovi sì che egli poscia mi lasci stare. E così detto, menata la giovane sopra uno de’loro letticelli, le ’nsegnò come star si dovesse a dovere incarcerare quel maladetto da Dio. La giovane, che mai più non aveva in inferno messo diavolo alcuno, per la prima volta sentì un poco di noia, per che ella disse a Rustico: – Per certo, padre mio, mala cosa dee essere questo diavolo, e veramente nimico di Dio, ché ancora al ninferno, non che altrui, duole quando egli v’è dentro rimesso. Disse Rustico: – Figliuola, egli non avverrà sempre così. E per fare che questo non avvenisse, da sei volte, anzi che di su il letticel si movessero, ve ’l rimisero, tanto che per quella volta gli trasser sì la superbia del capo, che egli si stette volentieri in pace. Ma, ritornatagli poi nel seguente tempo più volte, e la giovane ubbidiente sempre a trargliele si disponesse, avvenne che il giuoco le cominciò a piacere, e cominciò a dire a Rustico: – Ben veggio che il ver dicevano que’valentuomini in Capsa, che il servire a Dio era così dolce cosa; e per certo io non mi ricordo che mai alcuna altra ne facessi che di tanto diletto e piacer mi fosse, quanto è il rimetter il diavolo in inferno; e per ciò io giudico ogn’altra persona, che ad altro che a servire a Dio attende, essere una bestia. Per la qual cosa essa spesse volte andava a Rustico, e gli dicea: – Padre mio, io son qui venuta per servire a Dio e non per istare oziosa; andiamo a rimettere il diavolo in inferno. La qual cosa faccendo, diceva ella alcuna volta: – Rustico, io non so perché il diavolo si fugga del ninferno; ché, s’egli vi stesse così volentieri come il ninferno il riceve e tiene, egli non se ne uscirebbe mai. Così adunque invitando spesso la giovane Rustico e al servigio di Dio confortandolo, sì la bambagia del farsetto tratta gli avea, che egli a tal ora sentiva freddo che un altro sarebbe sudato; e per ciò egli incominciò a dire alla giovane che il diavolo non era da gastigare né da rimettere in inferno se non quando egli per superbia levasse il capo: – E noi per la grazia di Dio l’abbiamo sì sgannato, che egli priega Iddio di starsi in pace –; e così alquanto impose di silenzio alla giovane. La qual, poi che vide che Rustico più non la richiedeva a dovere il diavolo rimettere in inferno, gli disse un giorno: – Rustico, se il diavolo tuo è gastigato e più non ti dà noia, me il mio ninferno non lascia stare; per che tu farai bene che tu col tuo diavolo aiuti attutare la rabbia al mio ninferno, com’io col mio ninferno ho aiutato a trarre la superbia al tuo diavolo. Rustico, che di radici d’erba e d’acqua vivea, poteva male rispondere alle poste; e dissele che troppi diavoli vorrebbono essere a potere il ninferno attutare, ma che egli ne farebbe ciò che per lui si potesse; e così alcuna volta le sodisfaceva, ma sì era di rado, che altro non era che gittare una fava in bocca al leone; di che la giovane, non parendole tanto servire a Dio quanto voleva, mormorava anzi che no. Ma, mentre che tra il diavolo di Rustico e il ninferno d’Alibech era, per troppo disiderio e per men potere, questa quistione, avvenne che un fuoco s’apprese in Capsa, il quale nella propria casa arse il padre d’Alibech con quanti figliuoli e altra famiglia avea; per la qual cosa Alibech d’ogni suo bene rimase erede. Laonde un giovane chiamato Neerbale, avendo in cortesia tutte le sue facultà spese, sentendo costei esser viva, messosi a cercarla e ritrovatala avanti che la corte i beni stati del padre, sì come d’uomo senza erede morto, occupasse, con gran piacere di Rustico e contra al volere di lei la rimenò in Capsa e per moglie la prese, e con lei insieme del gran patrimonio divenne erede. Ma, essendo ella domandata dalle donne di che nel diserto servisse a Dio, non essendo ancor Neerbale giaciuto con lei, rispose che il serviva di rimettere il diavolo in inferno, e che Neerbale aveva fatto gran peccato d’averla tolta da così fatto servigio. Le donne domandarono: – Come si rimette il diavolo in inferno? La giovane, tra con parole e con atti, il mostrò loro. Di che esse fecero sì gran risa che ancor ridono, e dissono: – Non ti dar malinconia, figliuola, no, ché egli si fa bene anche qua; Neerbale ne servirà bene con esso teco Domeneddio. Poi l’una all’altra per la città ridicendolo, vi ridussono in volgar motto che il più piacevol servigio che a Dio si facesse era il rimettere il diavolo in inferno; il qual motto passato di qua da mare ancora dura. E per ciò voi, giovani donne, alle quali la grazia di Dio bisogna, apparate a rimettere il diavolo in inferno, per ciò che egli è forte a grado a Dio e piacer delle parti, e molto bene ne può nascere e seguire.
Regia di Bruno Corbucci
Con Enrico Montesano, Sylva Koscina, Pascale Petit, Isabella Biagini
1313-1375
Regia di Pier Paolo Pasolini
Con Franco Citti, Ninetto Davoli, Angela Luce, Silvana Mangano, Vincenzo Amato (II)
Regia di Bitto Albertini
Con Mimmo Baldi, Antonio Cantafora, Rosemarie Lindt, Mario Frera
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