Allora, c’erano 23 film in concorso a dare una visione multietnica e dalle mille sfaccettature del mondo. Si viaggia dall’America e dall’Inghilterra (si sono visti molti film anglofoni, a volte con risultati sorprendenti) al “far east” della Cina e del Giappone, dalla Russia all’Egitto, dall’Italia alla Spagna. Venezia 64 è anche l’anno di quei registi navigati che hanno saputo tirare fuori le unghie e colpire i loro detrattori che ultimamente li avevano criticati non poco (De Palma, Greenaway, Mikhalkov, Loach): non dubito che ci saranno ancora critiche per loro e per questi nuovi film, ma hanno avuto il coraggio di tornare al passato, o riniziare da zero, o evolversi, e a loro modo hanno sorpreso.
E’ stata un’edizione all’insegna degli orrori di guerra, a partire dal film di apertura, Espiazione, con un piano sequenza in realtà non necessario ma che sintetizza forse il pensiero che ha accomunato molte opere in concorso o nelle altre sezioni. Non piango quasi mai al cinema, ma sinceramente devo ammettere che con l’inquadratura finale di In the Valley of Elah è stata durissima trattenere una lacrima: quell’America che chiede aiuto, agli altri ma anche a se stessa, non permetterà ad Haggis probabilmente di vincere l’Oscar, ma gli permetterà di farsi apprezzare di più.
E’ stata anche un’edizione all’insegna del sesso, ed è stato proprio il Leone d’Oro a sorpresa Lust, Caution ad aprire le “danze”, con scene da molti definite scandalose ma in realtà assolutamente coerenti con il contesto (e col titolo). Certo, a volte esagerando si scivola nel grottesco e nel gratuito (Nessuna qualità agli eroi, in concorso, o L’Histoire de Richard O, Orizzonti), ma a volte era necessario anche quello (Help Me Eros).
Pochissimo horror ma tanto western, e non di certo solo la retrospettiva curata da Tarantino: abbiamo visto il “western intimista” e quasi omoerotico The Assassination of Jesse James e il delirante Sukiyaki Western Django di Miike, che ha fatto storcere il naso a molti, che si sono chiesti anche il perchè della sua presenza nel concorso.
E poi documentari, follie d’autore, sorprese e delusioni, capolavori restaurati, film sperimentali.
Forse c’è un film che raccoglie tutta questa Venezia 64, ed è quel ritratto originalissimo su un cantautore che però è anche un documento geniale su una nazione e su un’epoca. Quel film che è capace di regalare ad una persona sei volti differenti e di cambiare di punto e in bianco stile e fotografia, quasi a dirci che la diversità è viva, vegeta e necessaria. Lui non sarà qui, ma è stato presente in ogni film di questo frullatore che si è appena concluso.
E c'è chi s'è annoiato... Cinema nella sua forma d'arte più alta, che sfrutta le sue componenti e regala originalità. Da godere come pochi altri film ultimamente.
Avere il coraggio di ripartire da zero. Parlare di guerra. Parlare di manipolazione. E riparlare di sguardo, immagine e cinema. De Palma e la teoria, sempre e comunque.
Uno dei Loach più belli e divertenti di sempre. Scritto benissimo e interpretato meravigliosamente, con una componente in più: una protagonista non più solo buona...
Mi ha fatto scendere una lacrima. Potentissimo e commosso atto d'accusa all'America, che ha bisogno d'aiuto e lo dice, lo urla, con una disillusione che ti lascia a pezzi.
Un gioco raffinatissimo e intelligente per un remake che sorprende. Branagh firma uno dei suoi film migliori, e sfrutta una coppia (Caine-Law) davvero in parte e strabiliante.
Con Martin Freeman, Eva Birthistle, Emily Holmes, Jodhi May, Toby Jones, Jonathan Holmes
Greenaway ha il coraggio di smetterla con il suo ultimo cinema e di ritornare al passato, per raccontare ancora una volta di arte, pittura e uomini. Stile da vendere, non poche emozioni.
Eccolo, lo "scandaloso" Leone d'Oro. In realtà è un'opera delicata e forte, con scene di sesso coerenti col contesto e attori bravissimi. Tutto funziona, e Ang Lee si riconferma grande narratore di emozioni.
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