Studio Aperto, Italia 1. Quando l’informazione si fa bella. L’impressione è di assistere alla truce rappresentazione dell’Amleto nel teatro classico tragico, quello sopra le righe e serioso, in cui gli attori consci della propria importanza schiacciavano sotto il peso di una recitazione pomposa e autoreferenziale il testo e i personaggi poiché erano convinti che il pubblico fosse lì per loro, non per Shakespeare. E così il registro poteva passare solo con un cambio di intonazione da tragico a comico, così in un batter di ciglia. La tragedia con inserita la parodia della tragedia stessa in tempo reale, possibilità ampiamente sfruttata dai “finedicitori” del teatro comico, attori semiprofessionisti che caricavano di pathos il momento poetico recitando testi si tragici ma ottenendo un risultato estremamente comico tramite la pratica dell’”overacting” diremmo noi in termini squisitamente cinematografici. Ecco bisogna smettere di denigrare Studio Aperto poiché codesto contenitore di morti ammazzati e puppe al vento, bambini straziati e veline con inserito al loro interno un calciatore, cani abbandonati e le ultime da San Siro è quanto di più si avvicini al teatro, all’accostamento delle maschere della tragedia e della commedia recitate da un “ finedicitore” di turno, il giornalista che a seconda della notizia da spacciare in un dato momento ha a disposizione alcune espressioni standard (l’Esacerbato, lo Sconsolato, il Severo e poi il Divertito e lo Stupito. I più bravi e navigati sanno anche fare la Complice. Solo pochi però, i meno abili appaiono come seduti sul gabinetto quando nonostante gli sforzi la questione rimane tragicamente irrisolta) da esibire per attrarre empaticamente a sé il telespettatore con la braciola in bocca e fornirgli immediatamente lo stato d’animo necessario per fruire della notizia in questione. Non importa nulla di Cosa sia successo a Chi Dove Come Quando e Perché (capitolo 1 pag. 1 del manuale del buon giornalista) poiché nulla resta della notizia se non l’emozione indotta e spettacolarizzata dall’istrionismo espressivo del conduttore, dei particolari truculenti e dalla musica d’accompagnamento. La solita strappalacrime melodia della perdita, il giro di dolore che avvolge il bambino morto, la lancinante nota lunga sulle lacrime del parente più stretto disponibile ad usufruire del quarto d’ora di notorietà Wharoliana da spendere nella sua miserabile vita a futura memoria, unica cosa che rimane del ricordo del caro estinto. Mia madre ha riversato su Dvd dei video in Super 8 degli anni ’60. Il fotografo reo del riversamento ha pensato bene di inserire una musica strappalacrime sui muti nostalgici dei miei parenti. Un parterre di morti o di imminenti dipartenti che sembrava di assistere ad un filmino amatoriale di George Romero. Ho azzerato l’audio, la musica aveva prevaricato ogni reminiscenza e violentato ogni emozione prendendo la scena e diventando protagonista non originale del caro ricordo. Così funziona, Studio Aperto sa di essere più importante di ciò che dice, se ne bea e ci gode così pomposo e tragico e comico insieme, poiché sa che a nessun telespettatore importa realmente Cosa sia successo ma Cosa si vede e Come si vede, il primo piano di Chi piange in modo da sapere esattamente come comportarsi nel caso capitasse ad egli stesso di lacrimare copiosamente di fronte all’ 1 tra parentesi stampato sulle telecamere. Poi, magnanimamente, come un buon padre di famiglia tragico e padrone, di quelli all’antica che alternavano carezze e bastone, Studio Aperto mostra le puppe, le zinne, le chiappe, la gente al mare, il gossip, risolleva dalla tragedia con la farsa, con il cambio di espressione del “finedicitore” al servizio del capocomico che lo paga e finisce in festa, con la musica dei Gipsy King che accompagna il ballo finale, la notizia scema che alleggerisce la coscienza prima del limoncino, della pennica, della prossima replica di quello spettacolo infinito che è la vita filtrata dalla grande lente del teatro della Vita in Diretta….ops…questo è il seguito. Fermiamoci qua.