Gli americani non sanno più, ammesso che l’abbiano mai saputo o meglio ancora voluto fare, osare cinematograficamente, proponendo al pubblico in sala un film che non sia necessariamente made in usa. Non sono certo un’esperta di economia, né tantomeno ho l’ambizione di esserlo, ma non ci vuole molto a capire che le strategie commerciali basate su un vergognoso senso di chiusura sono segno di una profonda crisi, nonché di immaturità, in questo caso artistica, pronte a implodere, almeno in teoria. A differenza, infatti, dei meccanismi che intervengono nelle tradizionali dinamiche economiche, il cinema statunitense fa eccezione e si può permettere il lusso di perseverare con i remake di film provenienti dal resto del mondo, non per ultimo L’ultimo bacio (film che, preciso, non ho visto nella versione originale e non ho intenzione di vedere in quella yankee), visto che la maggior parte del pubblico nostrano, ad esempio, pende dalle labbra del cinema americano. Resto a guardare basita la povertà creativa della mecca del cinema che, colossal e idiozie tipicamente americane a parte, non riesce a produrre nulla, o quasi, che sia farina del suo sacco. Non che la cinematografia italiana stia meglio, ma almeno ha quel pò di dignità che manca oltreoceano e non vive di remake di film indiani. Meglio mille film orrendi e tristi, magari con Castellito, che un solo remake. Insomma, la realizzazione de L’ultimo bacio oltreoceano ha un che di penoso, avvilente per il nostro cinema, sia per la scelta del film da clonare sia per la scelta stessa di volerlo rifare. Un passo indietro, ora che la veemenza e il mio discorso infervorato volgono al termine: il cinema indipendente made in Usa esiste, per fortuna, e preferisco credere in quello, piuttosto che negli inutili polpettoni, patriottici e non, che illustri maestri del cinema, e lo dico senza retorica, come Stone e Scorsese ci stanno propinando negli ultimi tempi. Il cinema reclama altri Cecil B. Demented, americani e non!!!
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