ROTOTOM

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...e il ciuffetto ingellato alla lacca che non attacca e modella come vuoi tu, che non lo sai come lo vuoi tu ma lo hai come viene e basta, e il ciuffetto si muove sbatacchiato di lì e di là. L'aria del plauso, schiocco secco a comando di claque a contratto, le manone unte che sbattono allegre i ditoni grassi, le unghie lucide limate di fresco da una manicure a cottimo del dietro le quinte del galà televisivo. E il ciuffetto di capelli si dimena su e giù, sul sorriso prestampato ad uso catodico, mediatico. E i petti scollati a mostrar le aureole di capezzoli paonazzi al limite dell'ipossia, strizzati in gabbie griffate, sballonzolano scossi dal calpestìo palmare unghiato e smaltato a fresco. Come tutti i materiali sintetici, le resine epossidiche, le spume, i siliconi, i gel tendono a occupare lo spazio in maniera perfettamente simmetrica e molecolarmente ordinata colmando prontamente quegli spazi rimasti liberi per effetto di una repentina scarica di energia sufficientemente forte da modificarne lo stato, ripristinando l'ordine originario. Ecco perchè i seni anche se squassati, sbattuti l'un l'altro, appesi penzolanti ai loro lembi cutanei cuciti e cicatrizzati, per quanta foga l'applauso più sentito, doveroso, dovuto, li strapazzi essi tornano diligentemente al loro posto. Quanta aria smossa, quanti acari straziati aggrappati alle polveri sottili schiantate dall'improvviso cataclisma del loro micromondo, milioni di cellule morte sparse come polline infetto a combinarsi con altri pollini e generare nulla, a fecondare nulla, ad anelare pistilli gonfi e lubrici che non esistono in fiori mai sbocciati. Plausi, applausi, standing ovation a perdere, ascelle accaldate e mascelle contrite nello sforzo di rendere credibile un cialtrone, un guitto, un grumo di pixel in alta definizione, un tumore al plasma a pagato a rate, un focoso omaggio in Dolby Surround. Si plaude e tu plaudi con loro, il tuo cuore plaude, le tue mani stanche e disilluse vorrebbero finalmente spellarsi convinte, abbracciarsi complici, unirsi al coro per non sentirsi le uniche a morire sole e il petto si gonfia in un moto d'orgoglio e le vene si gonfiano e i muscoli riemergono dall'acido lattico in cui sono intinti nell'epico sforzo di sopravvivere e mentre la mente quasi cede sotto la pressione dell'istinto di emulazione, quando comincia a farsi largo come lava incandescente l'idea che scendere di un gradino possa servire a sentirsi un po' più vivi o quanto meno meno morti, insieme a tutti gli altri, mentre il cretino di turno da dietro lo schermo immerso criogenicamente nei 24 mm di gas azzurrognolo catalizzatore di elettroni assorbe dal collegamento in diretta i plausi gaudenti, i trespolini tremolanti di tozzi torsi sgraziatamente eretti a rendergli dovuto, chiamato, perseguito omaggio, in quel momento, nel momemento in cui il ciuffetto unto non ingellato attende di scuotersi vitale per una giusta causa comune, in quel momento spengo. E la lucina che per una frazione di secondo lacrima sconfitta dal centro dello schermo mi guarda e muore. Il cretino di turno è ancora lì, da qualche parte nell'etere, sguazzante nei pixel, a milioni di Km da me, tra due ali di folla plaudente. Per me può andare tranquillamente a fare in culo.