Alla stregua di un iperconsumato conduttore d’orchestra Fellini è solito dirigere i suoi personaggi con ininterrotto zelo maniacale, smuovendo, raggruppando, modellando turbe vocianti a suo piacimento, modificando secondo l’estro del momento il suo dettagliato schema di pentagramma mentale e cospargendo il suo spartito filmico di nude maschere umane, reiterando e portando al limite estremo analoghe tematiche pirandelliane.
Ansioso di dare nuovamente il via alle sue angosce dialettiche non disgiunte da una misurata dose d’ironia, è solito far vibrare il suo materiale umano alla stessa stregua di una tastiera di pianoforte, modulando con pazienza le varie discordanze di suoni e facendo in tal modo scaturire da un apparentemente disarmonico assieme incommensurabili pezzi di bravura, arditi impasti timbrici, figurazioni musicali incarnate in visionarietà immaginifiche, più vicine talvolta ad ardite bizzarrie dodecafoniche che a composizioni sinfoniche a presa immediata.
Ed oltretutto i suoi film non mancano di offrire il destro a vere e proprie elucubrazioni mentali.
Sotto la scorza dell’apparenza si nasconde spesso una realtà gretta e meschina. Diffidare degli sceicchi bianchi tuttora intenti a cavalcare la tigre sotto mentite spoglie. Il populismo è vivo. Abbasso il populismo!
E se Steiner avesse ricondotto il mistero della vita ad un perpetuo morire e rinascere ogni giorno? Che significato avrebbe il suo suicidio se non quello di verificare anche il mistero della morte?
A che scopo dissacrare ignobilmente un’icona del calibro di Anitona? Il mito intento a celebrare sé stesso cade piuttosto in (auto)sublimazioni ma non ama prendersi a torte in faccia.
Se tutta la nostra esistenza terrena si concretizzasse alla fine in un perpetuo girotondo saremmo probabilmente consegnati alla più puerile delle immortalità possibili.
Con Terence Stamp, Salvo Randone, Polidor, Milena Vukotic, Antonia Pietrosi
Toby non ha affatto compreso che la morte ricambia spesso in modo ingrato i suoi spasimanti. Qualcuno avrebbe dovuto spiegargli prima della parola fine che un fil di ferro teso è totalmente alieno da sentimenti di sorta.
Gradisca ha creduto opportuno trovare rifugio nel più accomodante dei compromessi. Ma chi la ripagherà mai del suo alone di leggenda ormai irrimediabilmente svanito?
Sante Katzone vs. Snaporaz ed un paio di occhieggianti soubrettine sculettanti al ritmo di “singing in the rain” a fungere da arbitri. Il viale del tramonto lastricato da un’orda di femministe invasate. E la nave va. Alla deriva.
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