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Helena

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Preghiamo. Togliamoci le dita dal cranio da sotto i capelli dalle tempie dalle ginocchia. Preghiamo insieme anche se non sappiamo farlo. Preghiamoci di pregare. Prego. Grazie. Ringraziami, ringrazia dio che sei ancora qui, che sono ancora qui le tue cornee, che non hai ustioni visibili se non con occhiali speciali che vendono solo al vaticano. Ringraziamoci ancora di non essere annegati in qualche tipo di tossico ma di poter stare qui sdraiati sulla schiena sorretti dalle nostre stesse pene a guardare quello che ci passa il cielo, un DC9 un satellite. Una macchia del cristallino. Grazie signore per questo ammasso di confusione per questo pongo marroncino di disgrazie, grazie signore delle intolleranze alimentari e di questa bollicina pungente all’angolo della bocca che si chiama Dario, ti ringrazio dell’amore, ti prego con amore, ti ringrazio del 3 nel 12, per le quinte e per le terze, per questo orribile fastidiosissimo ennesimo romanzo di Wu Ming, grazie, grazie, a volte troppa grazia signore. Grazie per il teschio che mi si riflette nelle palpebre chiuse quando non dormo e per le fosse nasali, le mie, che attraverso tutte le notti scansando liane a colpi di barra spaziatrice per trovarci una foresta verde lussureggiante di ansie. Grazie per i genitori bambini grazie per le zanzare d’estate grazie per le nonne che non vogliono morire e per i nonni morti, sempre al momento sbagliato. Grazie per essere sopravvissuta per vedermi in questo futuro ormai presente quando l’immagine che avevo di me stessa e quella della me stessa che sarei stata non si salutano neanche in ascensore. Preghiamo per l’uomo nell’astronave alla deriva che lascia i comandi si spoglia della tuta e lentamente si offre alle camere di scoppio del combustibile, quando nessuna droga gli fa più effetto o forse ne ha prese troppe tutte insieme, assaggiando un risucchio di calore che suona come fruscio di carta argentata tutto intorno al suo corpo. Preghiamo per il monaco del monastero tibetano che si è dimenticato di girare la ruota della preghiera inspiegabilmente legata all’esistenza di quell’altro lassù, ma intempestivamente -come sempre il generoso caso- corre adesso a dargli una giratina, troppo tardi, la ruota fissata ad un legno marcio si svelle e rotola impazzita, determinando con il suo voltarsi e rivoltarsi disordinato il cedimento delle paratie della nave in cielo, la consapevolezza dell’astronauta di non poter fare ritorno ed il suo distacco da ogni orbita contemplata, con questo facendo perdere il suo segnale a stazioni d’avvistamento, torri, ponti radio e moglie e figlio che ne attendono il rientro seduti nella sala d’attesa del centro comandi di una base della florida a bere cocacola light in bicchieri di carta con il simbolo della società spaziale disegnato sopra. Grazie. Un amore supremo, un Amore Supremo. Supremo, Supremo.

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