Regia di Franco Zeffirelli vedi scheda film
La scomparsa di Elizabeth Taylor, che senza retorica possiamo tranquillamente definire l’ultima vera diva di Hollywood, può essere l’occasione di rivedere qualche vecchio film che la donna dagli occhi viola interpretò nella sua lunga carriera. La bisbetica domata è una delle migliori interpretazioni della Taylor, e anche il miglior film di Franco Zeffirelli. Lontano dal teatro filmato, con una vera idea di cinema che poi ha perso per strada (a conti fatti, le cose più commestibili di Zeffirelli sono questo e Romeo e Giulietta; oserei dire che le ultime pellicole, Un tè con Mussolini e Callas forever, siano sicuramente dignitosi se si considerano tutte le porcate precedenti), il regista fonde una serie di elementi in un’armonia che raramente s’incontra nelle trasposizioni shakespeariane fuori dalla terra madre: fedeltà non pedante al testo originario (penso che il merito maggiore sia ascrivibile a Suso Cecchi D’Amico, che aveva due mani d’oro), dispiego di mezzi sfarzoso ma non eccessivo, solida tradizione teatrale e divismo. Per quanto concerne il divismo, ovviamente qui è appannaggio della scatenata coppia formata da Liz Taylor e Richard Burton, in un gioco cinematografico che è quasi metacinematografico, profetico ed allegorico. La diva è perfetta (nonostante in realtà la protagonista non sia esattamente una bellezza) nei panni furiosi, veementi e sfacciati di Caterina, splendidamente illuminata dalla brillante fotografia di Oswald Morris e vestita con filologico gusto da Danilo Donati.
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