Regia di Jonathan Lynn vedi scheda film
Oggi recensiamo un piccolo cult degli anni novanta, ovvero il divertentissimo Mio cugino Vincenzo (My Cousin Vinny), commedia del 1992 della durata esatta di due ore nette.
Scritta da Dale Launer e diretta da Jonathan Lynn.
Mio cugino Vincenzo è un film dalla trama piuttosto esile, un film deboluccio dal punto di vista prettamente cinematografico ma che, sin dalla sua uscita, è stato molto apprezzato dalla Critica, crescendo negli anni e diventando, come detto, una pellicola di culto, soprattutto fra gli estimatori di Joe Pesci, qui in una delle sue prove più istrioniche, un one man show assolutamente irresistibile, una performance burlona sorretta dalla sua incontenibile, ruspante verve contagiosamente spassosa. Tale, nella sua buffonesca e grottesca spacconaggine interpretativa, da suscitare un’immediata simpatia e ilarità à gogo.
La trama è essenzialmente questa...
Due giovani, anzi, come direbbe il personaggio incarnato da Joe Pesci, due giovini (plurale di giovine, ah ah), Billy Gambini e Stanley Rothenstein, rispettivamente Ralph Macchio (Per vincere domani - The Karate Kid) e Mitchell Whitfield, sono in viaggio verso l’Alabama. Sostano alla drogheria di una stazione di benzina ove fregano una scatoletta di tonno. Alla loro uscita dal negozio, vengono subito inseguiti dalla polizia. E accusati non di furto, bensì di omicidio.
Vengono immediatamente fermati e trascinati in carcere. Si è trattato indubbiamente di un equivoco giudiziario. Sì, loro hanno rubato una scatoletta di tonno ma non hanno ammazzato nessuno. A commettere l’assassinio son stati dei malviventi... Che micidiale fraintendimento.
In seguito a un’altra serie d’incredibili qui pro quo, i giovani ingenuamente si dichiarano colpevoli. A quel punto, i due comprendono che saranno processati, rischiando addirittura la pena capitale. E non hanno i soldi per potersi permettere un avvocato che possa sbrogliar loro l’intricata matassa e scaglionarli dalla falsa, tremenda accusa.
Al che, a Billy sovviene che suo cugino Vincenzo (Pesci, appunto) è un avvocato ed essendo uno di famiglia può prestar loro la giusta difesa in forma totalmente gratuita.
Vincenzo accorre istantaneamente al loro “capezzale” ma è un avvocato senz’alcuna esperienza processuale, da pochissimo peraltro iscritto all’albo. Eppure, con ammirevole incoscienza sfacciata e ridicola goffaggine spregiudicata si lancia in questa missione impossibile ai limiti dell’inverosimile più assurdo.
Spiazzando l’inflessibile giudice Chamberlain Haller (Fred Gwynne), il quale è perennemente sospettoso nei suoi riguardi e continuamente lo redarguisce, lo sgrida e condanna innumerevoli volte per vilipendio alla corte.
Nonostante ciò, Vincenzo, notevolmente sostenuto e aiutato dalla sua determinata, coraggiosa e scafata compagna Mona Lisa Vito (una brillante, esuberante e fatalona Marisa Tomei) riesce a far assolvere il nipote e il suo amico, vincendo la causa malgrado abbia un po’ imbrogliato il giudice in merito alle reali, comprovate referenze della sua discutibile e non acclarata carriera misteriosa di avvocato. A prescindere da questo veniale sotterfugio, la giustizia, anche se in maniera canzonatoria e burlesca, ha imprevedibilmente trionfato.
Un film che incassò benissimo, Mio cugino Vincenzo è da ricordare anche perché ha permesso a Marisa Tomei di vincere, sorprendentemente, il suo unico Oscar (eh sì) come miglior attrice non protagonista, sconfiggendo addirittura le veterane e più accreditate Judy Davis di Mariti e mogli, Joan Plowright di Un incantevole aprile, Miranda Richardson de Il danno e Vanessa Redgrave di Casa Howard. Pensate... queste quattro attrici, probabilmente più meritevoli della Tomei, sono ancora lì a mordersi le mani e a chiedersi come sia stato possibile aver perso la bramata, agognata statuetta. Innalzata invece dalla bella e sexy ma, all’epoca ancora poco famosa, Marisa.
E infatti, nonostante la Tomei sia ottimamente in parte e assai raggiante, è a tutt’oggi uno dei premi Oscar più controversi e leggermente incomprensibili che l’Academy abbia mai assegnato.
Mio cugino Vincenzo è un filmetto, ovviamente, ma attenzione: la fotografia è firmata da Peter Deming, lo splendido direttore di luci, fra gli altri, di David Lynch (Mulholland Drive, Strade Perdute, Twin Peaks: il ritorno).
Pure questo ha dell’allucinante. E in effetti non è che la fotografia di Deming sia poi granché. Anzi, il taglio dato alle immagini è esattamente quello di un b movie tipico dei nineties, da veloce consumo, un po’ grossolano e sciatto.
Come detto, gran merito della riuscita del film, che si segue benissimo e molto volentieri, è dovuto alla travolgente prova di Pesci, nei panni appunto dell’impresentabile avvocaticchio Vincenzo, un nanerottolo sprovveduto in materia giuridica ma immensamente carismatico.
E i suoi faccia a faccia con l’integerrimo e severissimo giudice, i duetti tragicomici fra loro due sono, assieme alla sua interpretazione mattacchiona, uno dei punti di forza di questa leggera e godibilissima commedia degli equivoci.
di Stefano Falotico
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