Regia di Andrei Tarkovsky vedi scheda film
Alexander vive isolato, in un paesino nordico di campagna, insieme alla moglie, al figlioletto e a una domestica. Riceve spesso visite dall'amico postino, con cui si intrattiene in lunghe chiacchierate metafisiche. Strani presagi cominciano a verificarsi; Alexander teme l'arrivo dell'apocalisse e dà alle fiamme la sua casa, offrendola come ultimo gesto sacrificale a Dio, nel tentativo di placarne le ire.
Un film in cui l'azione è esclusivamente simbolica, i personaggi sono metafore e i dialoghi pura retorica: il testamento artistico di Andreij Tarkovskij non poteva che essere così, come è questo Sacrificio, girato nel corso degli ultimi mesi di vita del regista russo. Sacrificio è il titolo, sacrificio è il film; in uno scambio di battute della pellicola viene definito 'sacrificio' qualsiasi dono, in quanto privazione spontanea di qualcosa di proprio a favore di altri: osservandolo in questo modo - Tarkovskij che 'sacrifica' sè stesso al proprio pubblico, donandogli la sua ultima opera - il film assume tutto un altro significato. Non che ci potessero essere dubbi: il suo cinema non è mai stato lineare o esplicitamente narrativo; in questo caso però la sceneggiatura (naturalmente dello stesso regista) ripercorre la totalità degli argomenti tarkovskijani lasciandoli implodere in una spirale di rimandi intellettuali e religiosi corredata da sapienti visioni apocalittiche. Un film non difficile, ma impossibile probabilmente: un film per il pubblico di Tarkovskij (certo non per tutti), ma comprensibile fino in fondo solamente al suo autore. Verboso, inquietante, statico, immaginifico, ordinato in maniera maniacale (si veda la disposizione della mobilia negli interni, per esempio): Tarkovskij al cento per cento, in definitiva. Con in aggiunta una spruzzata di rimandi bergmaniani assolutamente non casuale. Grazie a Ingmar arriva infatti il contatto con la produzione svedese e non è difficile vedere in Alexander, il protagonista di Sacrificio, una figura bergmaniana: un intellettuale che vive isolato dal mondo in un paesino nordico, ossessionato da visioni di morte e preda di laceranti pulsioni vitali che culminano in ogni occasione in una serie di dubbi escatologici in odore di disperata blasfemia. A questo si aggiunge la scelta di Sven Nykvist come direttore della fotografia (con Daniel Bergman, figlio di Ingmar, come operatore alla macchina) e così quella del nome di Alexander, lo stesso voluto dal Maestro svedese nel suo testamento cinematografico (!), Fanny e Alexander (1982), come se il personaggio centrale di Sacrificio fosse lo stesso Alexander di Bergman, proiettato in un ipotetico futuro. E non è da sottovalutare affatto la presenza di Erland Josephson nel ruolo principale della pellicola, già in Fanny e Alexander ma soprattutto attore-feticcio di Bergman. Nel cast, composto da pochissimi elementi, sono inoltre presenti Susan Fleetwood, Gudrun Gisladottir, Sven Wollter e Allan Edwall (anche in Fanny e Alexander, se servissero ulteriori indizi). Capolavoro ostico all'ennesima potenza e dalla durata smodata (due ore e mezza), Sacrificio è un'opera la cui visione è consigliabile soltanto a un pubblico particolarmente motivato. 5,5/10.
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