Regia di Wim Wenders vedi scheda film
Per farsi del male.
La scena più iconica del film, quella che lo fotografa con adamantina perfezione, si ha quando il giornalista racconta una favola alla piccola Alice. Una storia barbosissima, senza né capo né coda, alla quale la bambina non può che addormentarsi. Ecco, mi piace immaginare che identica reazione, fors’anche più rapida, ce l’avremmo se il giornalista raccontasse alla piccina (adorabile, per carità) le appassionanti vicissitudini del film di cui è egli stesso personaggio principale. La noia è la grande e sola musa ispiratrice di Wim Wenders in questa terrificante supercazzola fatta di 110 lunghissimi minuti da sorbirsi con una tazzina di caffè in una mano e un’abbondante scorta di anfetamine nell’altra. In realtà questo film è un esperimento riuscitissimo di immedesimazione: sfido io a trovare un protagonista perdigiorno così annoiato dall’esistenza e un film che ne riproduca con precisione geometrica il disagio esistenziale, trasformandosi esso stesso in Noia tangibile, e facendone partecipe secondo per secondo (ma che dico, millisecondo per millisecondo) lo spettatore, che al termine della proiezione, ne siamo certi e sicuri, avrà esattamente l’espressione mezzo drogata mezzo spaesata del buon protagonista. Tentare di trovare un significato a questo lavoro sarebbe come cercare di spiegare il sesso degli angeli. Consigliarlo a qualcuno è un reato punibile in 206 nazioni del globo terracqueo. Girarlo e trovare il consenso unanime della critica, senza un solo bambino annoiato che intervenga, e dica, Il re è nudo (ed è anche assai barboso), è da immortalità cinematografica, lo ammetto.
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