Regia di Anthony Mann vedi scheda film
Un kolossal storico che almeno parzialmente può dirsi riuscito, perché, anche grazie all'uso sapiente del paesaggio, usato in funzione di personaggio, Mann sa dare corpo ai tormenti filosofici e politici del vecchio Marco Aurelio (che assai poco stoicamente chiede ancora un anno di tempo al proprio Fato), alla fedeltà incrollabile di Livio a Roma, alla follia infantile di Commodo.
La sceneggiatura termina con un finale che in termini filosofici potrebbe essere definito un'aporia, poiché Livio se ne va con la sua bella, rinunciando all'investitura imperiale che gli sarebbe spettata, sia in quanto erede designato da Marco Aurelio (che lo avrebbe preferito all'inaffidabile figlio, che poi si rivela non essere nemmeno tale) sia in quanto sposo, almeno in pectore, della figlia dell'imperatore. Con i tempi che correvano, era difficile poter rinunciare impunemente al trono imperiale, poiché chiunque avesse preso quella carica si sarebbe dovuto guardare dalla presenza di un possibile pretendente. E quindi rimane arduo pensare che Livio e Lucilla potessero pensare di vivere felici e contenti per il resto dei loro giorni.
Ma la perplessità più grande è data proprio dai due interpreti, chiamati a dare il volto ai due personaggi sopra citati: mentre ci si deve inchinare di fronte ad attori di valore quali Alec Guinness (Marco Aurelio), James Mason (Timonide) e Christopher Plummer (Commodo), Stephen Boyd e Sophia Loren appaiono evidentemente inadatti alla parte. In particolare la signora Ponti è disastrosa e non c'è un singolo fotogramma in cui compare che non sembri artefatto e straniante rispetto al contesto. In poche parole, l'attrice italiana, anche da sola, riesce a rovinare il film, o quanto meno le sequenze nelle quali compare.
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