Regia di Joel Schumacher vedi scheda film
La curiosità di sapere cosa ci sia dopo la vita spinge il giovane Nelson, brillante studente di medicina, a sperimentare la morte per pochi minuti, con l'aiuto di quattro suoi compagni di studio. "La filosofia ha fallito, la religione ha fallito. Ora tocca alla scienza medica. L'uomo ormai ha bisogno di una risposta!", è la sua convinzione, seguendo l'onda lunga di altri suoi celebri predecessori cinematografico-letterari che avevano osato sfidare le leggi della natura. "Io non voglio morire: voglio ritornare con le risposte sulla morte e sulla vita!" sostiene ancora Nelson di fronte allo scettico e ateo David. Dopo la sua esaltante esperienza ("Mi sento come uno strumento accordato al massimo!") anche i suoi amici, tranne Steckle, decidono di provare la morte. Peccato che gli effetti collaterali non siano quelli desiderati: "Abbiamo sperimentato la morte: non so come ma le nostre colpe si sono materializzate e sono incazzate." dice Nelson. Il cupo ed elettrizzante thriller fantastico che Joel Scumacher ha girato dopo la solare e godibile commedia sofisticata "Cugini" (nel genere aveva già comunque bazzicato con l'ingenuo e meno compiuto teen horror "Ragazzi perduti" con cui condivide il protagonista Kiefer Sutherland - e l'incipit con l'apparizione in impermeabile e occhiali scuri dell'attore, quasi ancora in tenuta da vampiro, rimanda inevitabilmente a quel film) è senza dubbio originale, avvincente, spettacolarmente allucinato, simpaticamente ironico ("Parla come Lazzaro risorto dalla morte", dice David a proposito di Nelson, dopo l'esperimento). Per di più è interpretato in modo piuttosto convincente da un cast di giovani attori affiatati (non una novità per il regista, basti pensare a "St. Elmo's fire") ed è valorizzato dall'ottima fotografia dalle tonalità prevalentemente oscure di Jan De Bont pre "Speed" e dalla gotiche ed efficaci scenografie di Eugenio Zanetti (quest'ultimo curiosamente è stato poi anche lo scenografo di "Al di là dei sogni" il terrificante film con Robin Williams che, a sua volta, indagava molto goffamente sul dopo la vita). Purtroppo uno stile visivo a tratti ridondante e non sempre felice (le sequenze relative al passaggio tra la vita e la morte sono piuttosto prevedibili, patinate e banali), alcune ripetizioni, specie nella parte centrale, e soprattutto il consueto fastidioso moralismo del regista rovinano il film, scritto discretamente da Peter Filardi ("Giovani streghe"), culminando in un finale sciocco, quasi imbarazzante. Il fatto che i ragazzi che presuntuosamente hanno sfidato la morte riescano a ritrovare con estrema facilità la pace con se stessi, riscattandosi dei loro peccati d'infanzia, lascia perplessi e delusi (analogo difetto si ritrova, per esempio, anche nel più recente "In linea con l'assassino"). E così uno va a trovare la ragazza di colore che da piccolo aveva sempre insultato domandandole scusa; un'altra può riabbracciare il fantasma del padre reduce di guerra, drogato e suicidatosi per la vergogna perché la figlia di 5 anni lo aveva visto mentre si bucava; il terzo rivive nell'aldilà una sorta di contrappasso, sufficiente però per ottenere il compiacente perdono del ragazzino di cui da piccolo aveva causato la morte e ora vero e proprio incubo della sua esistenza. In fondo solo il dongiovanni del gruppo rimane il più sfigato, lasciato dalla sua ragazza che ha scoperto le riprese dei suoi molteplici incontri amorosi con le compagne di corso (tra l'altro, se non ricordo male, anche in "Sliver" l'attore William Baldwin ha l'abitudine di riprendere momenti intimi suoi e altrui). Il più saggio invece è Steckle (il brillante Oliver Platt), il quale, viste le conseguenze sugli amici, saggiamente afferma: "Meno male che io non l’ho fatto: la mia baby-sitter di 140 chili mi inseguirebbe col mezzo panino al salame che le ho rubato!" Un buon film con un'ottima idea di base ("l'amore per la morte, l'attrazione verso lo spazio impossibile che sta al di là di quella soglia nera" Roberto Escobar) non sfruttata a dovere, rovinato da una conclusione non all'altezza, ipocrita e consolatoria. E si sa che in opere del genere se il finale è oltre modo deludente, il giudizio complessivo non può che risentirne. Certo che se confrontato con robaccia recente del regista come "Number 23", questo "Flatliners" (dall'inglese flatline, vale a dire linea piatta, quella che indica l'elettroencefalogramma piatto) fa ancora il suo figurone. Per Julia Roberts il primo ruolo dopo il trionfo di "Pretty Woman". Debutto invece per la brava Hope Davis (è la fidanzata ufficiale di Joe). 1 nomination agli Oscar per i migliori effetti sonori. Prodotto da Scott Rudin e Michael Douglas che poi avrebbe lavorato con il regista nel riuscito "Un giorno di ordinaria follia". Buon successo di pubblico negli States con oltre 60 milioni di dollari al box office.
Voto: 6/7
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