Regia di Nino Manfredi vedi scheda film
Nino Manfredi aveva un rapporto molto difficile con la fede e con Dio, di odio e di rancore. Ricordo un'intervista dove affermò che avrebbe condannato Dio all'inferno per aver permesso lo sterminio degli ebrei durante la II Guerra Mondiale. E' evidente che doveva avere più di qualche conto aperto con il Padreterno, ossia dei motivi molto personali per odiarlo, che non erano se non di riflesso quelli che lui diceva. In questo film secondo me cerca di vendicarsi, anche se alla fine c'è, forse forse, un barlume di fede (o è solo una pernacchia?).
La prima parte è tesa a mostrare la fede come una commistione di precetti assurdi, ipocrisia, e soprattutto superstizione. Il protagonista, in sostanza, è vittima di una fede superstiziosa di gente credulona, che fa di lui un disadattato e un complessato. La seconda è una specie di graduale emancipazione dal giogo e dall'assurdità che sarebbe la fede, verso una vita libera da ogni condizionamento morale. La guida di questo percorso è il farmacista ateo e filosofo, nemico di tutto ciò che è collegato al cattolicesimo, specialmente della morale sessuale (anche se muore baciando il crocifisso). La strada tracciata da lui, comunque, viene presentata come la più ragionevole e razionale, e la sua morte con i sacramenti forse come una debolezza o una vigliaccheria.
Pare che il film abbia diversi elementi autobiografici del vero Manfredi, che certamente non deve aver avuto attorno a sé buoni esempi di credenti (a cominciare dalla zia bugiarda e dalla doppia vita). Tuttavia a partire da questi elementi negativi egli non si limitò a perdere la fede, ma elaborò - come si vede in questo film - una filosofia di vita improntata all'ateismo visto come liberazione dal cattolicesimo. A quanto pare, però, in Dio continuò a credere, benché odiandolo.
Detto questo, il film mi sembra girato abbastanza bene, con momenti più riusciti (l'infanzia) ed altri meno (la parte finale, troppo lenta e lunga). In ogni caso Manfredi regista in generale se la cava. Si fa aiutare - non a caso - dal fustigatore della Roma papalina Luigi Magni, per cui lavorò più volte come attore. Il titolo è forse un sarcasmo, dove il suffisso "dis" davanti a grazia è scritto con l'inchiostro simpatico.
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