Regia di Brian De Palma vedi scheda film
Carlito Brigante esce di carcere grazie a delle anomalie procedurali che rendono inammissibili le prove per la sua colpevolezza. È stato messo dentro perché è un gangster pluriomicida che ha fatto soldi spacciando fiumi di eroina, ed al giudice non frega niente dei suoi discorsi retorici sul pentimento e sulla riabilitazione (ne vede centinaia ogni giorno): tutti sono convinti che Carlito, appena messo piede fuori, rientrerà in quel mondo. E invece lui, pur non rinnegando del tutto il proprio passato ("Fai quello che devi fare per sopravvivere. Come puoi. E tu così diventi quello che sei.""Tutti così diventano quello che sono. Nessuno escluso."), cerca davvero di restare pulito, di non ripiombare nel vortice e mettere da parte un po' alla volta i soldi che gli servono per scappare da quella città (in cui non c'è posto per persone che hanno il cuore troppo grande...) e ricominciare da capo. Però quel mondo non vuole lasciarlo andare, cerca in ogni modo di riprenderlo nel proprio alveo luccicante e farlo affondare, mettendogli ironicamente davanti tanti possibili sé stessi alternativi (il cugino che vive la mafia come un gioco e rimane ucciso, il vecchio boss sopravvissuto grazie al silenzio, il giovane rampante assetato di potere) mentre tutti vogliono fregarlo: l'affascinante amico distrutto dal carcere che vuole venderlo con una registrazione, l'avvocato tossico e ormai bruciato che lo trascina nella fossa con lui, il fidato braccio destro che odora la fine del suo vecchio capo, persino l'amichevole ometto del bar tenta di rubargli i risparmi come lo sciacallo che spolpa una carcassa. Ma quando rincontra Gale tutto questo scompare, e la possibilità di fuggire lo fa andare avanti infischiandosene del pericoloso marciume in cui sguazza ("Questo sogno è così vicino che mi pare di toccarlo"), nonostante le preghiere e gli avvertimenti profetici della compagna ("Io lo so come finisce questo sogno. Non finisce a Paradiso. Finisce con me che ti accompagno dentro una sala di rianimazione. Magari alle tre del mattino. E sto lì a guardare, piangendo come un'idiota."). Perché Carlito fa parte di una piccola grande catena alimentare dove chi non divora finisce divorato ed i giovani leoni sono sempre in agguato per spodestare il vecchio felino spelacchiato, senza che questo riesca neanche a rendersi del tutto conto che la ruggine comincia ad essere visibile anche per i nemici ("I tempi sono cambiati. Che fine hanno fatto le minigonne? E tutta la marijuana che si fumava? Adesso ci sono solo piattaforme e cocaina. E balli che non so ballare. È questo quello che uno si ritrova dopo aver perso cinque anni?"). Così il conflitto finale risulta essere solo il culmine di un'intera vita di battaglie contro tutto e tutti (neri, italiani, cinesi, altri portoricani...) e la fine di Carlito altro non è che l'inevitabile ricambio generazionale fra gangster, in cui la violenza si rinnova e tutto può ripartire con una nuova leggenda (destinata a fare la stessa fine della precedente) in un giro senza fine. In quello che è il suo capolavoro assoluto De Palma mette in scena, con tutta la sua perizia, uno dei migliori gangster movie di sempre, quadro strepitoso dalla malavita anni '70, pervasa da tutto il folle squallore che si porta dientro fra tonnellate di cocaina, ville di lusso, discoteche e strade solcate da sparatorie. Tutto questo però è solo uno sfondo per raccontare la vita di un uomo, le sue aspirazioni, il suo sincero desiderio di uscire dal tunnel e l'ineluttabilità della propria condizione, che fa respirare morte sin dalla prima scena, trovando uno spiraglio solo nell'ultima inquadratura (per me, uno dei momenti più commoventi mai visti in un film): una donna che balla sulla spiaggia, raggiunta da un bambino piccolo, forse "un nuovo e migliore Carlito Brigante".
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