Regia di George Sluizer vedi scheda film
Barney Cousins è un maniaco disadattato, che apparentemente però vive una vita normale: una brava moglie, una figlia senza grossi problemi, un lavoro di responsabilità. Eppure nella sua mente qualcosa non va: sembra che il rapporto col genere femminile lo tormenti, tanto che prova ad adescare delle donne per strada, si capirà poi per quale motivo, attraverso ingegnosi mezzi e strumentazioni. In una stazione di servizio un giorno incontra l’avvenente e ingenua Diane, appena uscita da una grande litigata col fidanzato Jeff. All’improvviso lei scompare e Jeff la cerca con insistenza, ma senza risultati. Dopo anni, Barney decide di andare a cercare Jeff, che intanto ha incontrato Rita e, provando a mettere da parte i fantasmi del passato recente, ha instaurato con lei una relazione, smettendo di cercare Diane.
Cousins è interpretato con disarmante bravura da Jeff Bridges, che impersona uno straniante mix di puerilità e perfidia; Cousins aggredisce per indole, agisce per istinto, delinque con candidezza. La bara in cui finisce Diane e quella in cui anni dopo viene rinchiuso anche Jeff, destinati entrambi ad una morte lenta ed atroce, fanno da contraltare all’ingenua, quasi fanciullesca, commozione di fronte a quell’avviso affisso da Jeff che ora stranamente ha smesso di campeggiare in bacheca.
Tra i primi film di Sandra Bullock, qui oggetto del desiderio di un maniaco, prima ancora che di quella Hollywood che oggi ne fa una stella di prim’ordine.
Il figlio di Donald Sutherland si comporta bene, anche se non sembra avere il carisma del padre.
Il film rimane impresso, oltre che per i ritmi sincopati con cui la storia viene narrata, anche o soprattutto per l’assenza totale di uno straccio di poliziotto (che invece affollano sempre ogni buon thriller che si rispetti), quasi come se quelli di Barney Cousins non fossero reati, ma fantasie inusitate.
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