Regia di Krzysztof Kieslowski vedi scheda film
Gli intrecci del caso, la possibilità, per due anime gemelle, di incontrarsi e quella di sfiorarsi per tutta la vita senza riconoscersi, la seconda occasione che talvolta il destino offre: è questo il percorso di Rosso, ultima parte della trilogia di Kieslowski e, forse, come sostiene l'autore, l'ultimo film della sua carriera. I personaggi sono un giudice in pensione, una modella, un laureato in legge. Non si conoscono; il caso può farli o non farli incontrare. Intorno a loro, molti assenti, due cani, moltissime voci e, soprattutto, il telefono, cui è dedicata la prima scena. In un'accelerazione vertiginosa, una chiamata da un apparecchio inglese corre attraverso il filo, i piccoli cavi interni, poi quelli enormi che passano sotto la Manica, fino ad arrivare al segnale di occupato di un apparecchio di Ginevra, dove è ambientata la storia. Poi, con l'agilità tranquilla e divertita di un deus ex machina, Kieslowski comincia a far vivere e incrociare i suoi personaggi. Con Rosso l'autore polacco raggiunge l'equilibrio esemplare tra l'intensità perfetta e un po' immota di Blu e della Doppia vita di Veronica e il rigore matematico e tagliente del Decalogo e di Bianco. Eleganza mozzafiato, distrazione caustica e un'attenzione metodica per le storie fuori campo, i personaggi intravisti, le vite spiate.
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