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Speriamo che sia femmina

Regia di Mario Monicelli vedi scheda film

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La recensione su Speriamo che sia femmina

di Baliverna
7 stelle

Un film con molti divi non sprecati, e diretti da un regista che è quasi una garanzia.

Ecco un film di attori, come si usava qualche decennio fa, tuttavia diretti da un regista di nome, che conosce bene il suo mestiere. Si può dire un'opera ambiziosa ma abbastanza riuscita, nonostante qualche stonatura qua e là.

In generale si può dire che la pellicola narri la vita di una famiglia un po' squinternata, ma che tutto sommato si vuole bene, mentre compie un importante giro di boa. Ci sono scossoni e avvicendamenti, ma in fin dei conti i cambiamenti non sono poi tanti. Essi, tuttavia, sembrano avere un risultato concreto: la riduzione della presenza maschile in famiglia, e la riduzione della sua importanza. Gli uomini sono un po' impacciati, non troppo sicuri di sé, in alcuni casi donnaioli, in altri interessati e persino scemi. E le donne sembrano prenderne atto: dopo una breve delusione si riassettano un po', si schiariscono le idee, e riprendono il cammino praticamente senza di loro.

Ci sono diversi buoni momenti, nei quali emerge l'umanità e la verità dei personaggi, magari con efficaci accenni e senza dire le cose chiaramente. Dopo tutto, questa è un'arte sottile che non a tutti riesce. Ad esempio, è ben rappresentato il personaggio di Philippe Noiret, specie quanto alla sua relativa importanza in famiglia, e il moderato rispetto che gli riservano. Da una parte se lo merita (essendo un'infedele cronico), dall'altra è evidente la scaltrezza delle donne, che spesso gli mettono i piedi in testa (si pensi all'episodio della sua camera sempre occupata).

Altri personaggi sono ben ritratti nella loro peculiarità, ma non posso fare a meno di rilevare delle evidenti cadute di qualità, che sono i limiti non troppo pesanti di questo film.

Le due ragazzine sono banali e convenzionali quanto mai, come lo sono i dialoghi e le situazioni che le riguardano. Potrebbero venire da una miniserie di Italia 1 degli anni '80. A tratti sono persino inverosimili (quando le trovano a dormire in piazza coi barboni).

L'altro personaggio che non mi ha convinto è lo zio matto, interpretato da Bertrand Blier; si vorrebbe che fosse un buffo zio eccentrico e pazzerello, ma l'effetto è incerto e altalenante. Si cerca l'umorismo ma spesso si pesta l'acqua nel mortaio.

Cercando i responsabili di queste note stonate, è inevitabile guardare alla mischia di sceneggiatori presenti (Cecchi d'Amico, Benvenuti, Pinelli, Monicelli, Bernardi). Se io fossi un produttore, eviterei sempre queste ammucchiate, perché quasi mai funzionano e il film ne esce un po' schizofrenico. Se dunque si sono divisi i compiti per ruoli e personaggi, è possibile che i personaggi mal definiti siano riconducibili ad uno di essi, e non credo siano nomi arcinoti e scafati che tutti conosciamo.

Precisati i difetti, ora qualche dovuta lode. Mi sono piaciuti i duetti tra Philippe Noiret e Giuliana de Sio, il suo fidanzato maldestro e pignolo, e l'ambiguità della Sandrelli, amante in lutto ma pure creditrice un po' spudorata, che parla dei debiti del morto al suo funerale. L'altra diva – la Deneuve – risulta una presenza un po' incolore nell'economia del film.

Il femminismo non è ideologico e ragionato come taluni vorrebbero: è quasi la malinconica constatazione dell'inettitudine degli uomini in gioco, e il loro necessario accantonamento, per andare avanti da sole, con qualche lacrimuccia di rimpianto.

Le musiche le ho trovate molto piacevoli, come sempre avviene con Nicola Piovani, che ama i mandolini, le chitarre, di cui esalta i suoni più limpidi e argentini.

 

 

 

 

 

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