Regia di Brian De Palma vedi scheda film
Se eventualmente fosse rimasto anche solo più uno sparuto unico amante (vero) del cinema che non avesse ancora visto il qui presente capolavoro depalmiano, ebbene costui eviti di leggere più avanti di qui, perche' quanto dico certamente compromette la purezza, e rovina ogni sorpresa e buona parte della tensione, della suspence che caratterizzano uno dei più attanaglianti thriller della storia del cinema. Uomo avvisato.....
Angie Dickinson (che femmina!!!!) donna agiata, statuaria moglie irrequieta ed insoddisfatta, ma pure madre premurosa di un nerd scienziatello in erba, appare ininterrottamente, quasi ossessivamente nei primi 35 minuti su 90 totali: lo sguardo perverso di De Palma la segue imperterrita nei suoi spostamenti, mentre la musica distensiva (per ora) di un Pino Donaggio da Oscar la culla nei suoi percorsi quasi mai rettilinei: prima dallo psicologo, a cui confida tutta la sua insoddisfazione sessuale, l'indifferenza percepita verso un un marito rozzo, distratto, ed efficace (in termini di piacere ed appagamento naturalmente) al minimo sindacale. La bionda signora arriva addirittura a fare delle avances sfrontate al rassicurante distinto dottore (Michael Caine, che attore!), il quale sa driblare con apparente savoir faire e destrezza, salvo far scattare la molla di tutto quello che succedera' nel concitato svolgimento (ma noi spettatori vergini tutto questo non lo sappiamo ancora).
Poi vediamo la donna recarsi al museo, e li il regista fa scuola, forte di una ripresa magistrale di pedinamento uomo/donna in cui inseguito ed inseguitore si scambiano spesso i ruoli: una carrellata alternata che mette i brividi per l'abilità e destrezza (col fido Donaggio e i suoi violini appresso a ritoccare l'opera d'arte): insomma è fatta: un guanto galeotto intreccia le vite dei due futuri amanti occasionali in gita culturale alla pinacoteca, mentre l'altro guanto andrà tra le grinfie dell'assassino che già viene inquadrato (ma sono attimi, frazioni velocissime che si notano solo nelle successive piu' meticolose visioni) mentre la donna prende il taxi. Sesso selvaggio finalmente, che corona il sogno erotico nella doccia (altra scena cult, in cui il pur bel corpo di una gia' cinquantenne Dickinson non basta a De Palma, che lo sostituisce con quello esagerato, spaziale, quasi ultraterreno di una top model ventenne da infarto) e che inizia mirabilmente alla sadica e peccaminosa vicenda noi spettatori, facendoci divenire, volenti o nolenti, dei voyeur consenzienti e inevitabilmente compiacenti. Ma quando la donna si risveglia dal lieve torpore pomeridiano post coitale nella casa vuota dell'amante occasionale, ecco che due colpi di scena la attendono al varco: al primo (l'uomo col quale ha fatto sesso ha contratto i recente una malattia venerea) grave, spiacevole, imbarazzante, c'e' comunque un rimedio; al secondo (un assassino/a dalla chioma bionda ed occhiali scuri armato di rasoio affilatissimo in agguato presso l'ascensore) proprio no: ed ecco che la splendida Angie, incredula e sgozzata, ci saluta con lo stesso sguardo quasi dispiaciuto ed imbarazzato dell'altra mancata protagonista di un film altrettanto famoso: sto parlando ovviamente di Janet Leigh in Psycho. Angie infatti muore e passa la staffetta alla giovane ed ingenua Nancy (Allen, allora moglie del regista, presente in ben 4 opere del marito) e la storia continua la sua corsa improbabile, sadica e mortale fino ai suoi tre finali assurdi, sopra le righe, esagerati, indispensabili.
De Palma a quel punto ci prende in giro, semina indizi fuorvianti (un paziente dello psicologo che si autodenuncia) per depistare l'assassino che non possiamo a quel punto intuire chi sia (ed è per questo che la prima visione è quella inevitabilmente più pura, emozionante, in cui l'autore gioca con gli spettatori e si fa scherno della loro inevitabile ingenuità). Potrei proseguire citando altre scene magistrali, e un po' lo faccio pure: dopo l'arresto dell'assassino, a cui fa seguito tutta la spiegazione pseudo-scientifica della deviata e doppia personalità del colpevole, ecco che ci trasferiamo nel satanico manicomio in cui lo stesso viene ricoverato: assistiamo all'evasione in seguito all'uccisione della piu' conturbante infermiera che si sia mai vista (ha persino le giarrettiere!!!!), mentre muore soffocata tra gli sguardi allupati dei folli ricoverati in un girone infernale granguignolesco quanto improbabile. Per non parlare della seconda scena della doccia, che caratterizza il terzo ed ultimo finale (quello fasullo, fatto apposta per ingannare ulteriormente uno spettatore gia' stordito dal rutilante altalenarsi di sadismi ed efferatezze). Nancy Allen scorge le scarpe bianche immacolate dell'assassino (costui le ha infatti sottratte alla sexy infermiera appena strangolata) in agguato mentre lei e' nuda sotto la doccia.
Si sposa in silenzio, gira lo specchio ad anta del mobiletto ed ecco che il killer col rasoio le si para davanti: la mdp gira su se stessa scoprendo angolature che vanno oltre la piu' razionale gradazione matematica generalmente attribuibile a questa figura geometrica di base, per permettere all'assassino di fendere i suoi colpi mortali e far stillare l'improbabile sangue pastoso e vermiglio ormai irrinunciabile ed essenziale nella filmografia depalmiana.
Vestito per uccidere figura naturalmente tra i miei 7 gioielli imprescindibili: quelli che rivedrei in continuazione, scoprendo ogni volta qualche piccolao o grande particolare in grado di sorprendermi ed emozionarmi: e' la meraviglia del cinema e in queste circostanze non posso che parlarne con l'esaltazione che avverto spontanea ogni volta che mi capita di rivederlo o farlo rivedere ad amici e conoscenti, alcuni dei quali da quel momento, sconcertati ed insospettiti, mi guardano decisamente meno bonariamente e candidamente rispetto a come mi disegnavano prima di vedermi in adorazione di questo film decisamente e fantasticamente malato..
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