Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Con qualche prolissità perdonabile, “The Tenant” rappresenta uno dei risultati espressivi più stupefacenti della poetica polanskiana, simbolo della quotidianità che diventa incubo: un'opera sinistra e terrificante, ambigua e complessa, ma anche estremamente affascinante e irresistibile. Per gli appassionati del Maestro, assolutamente da vedere. 8,5
Con qualche prolissità perdonabile, “The Tenant” rappresenta uno dei risultati espressivi più stupefacenti della poetica polanskiana, simbolo della quotidianità che diventa incubo: un'opera sinistra e terrificante, ambigua e complessa, ma anche estremamente affascinante e irresistibile. Per gli appassionati del Maestro, assolutamente da vedere. 8,5
Dopo il successo planetario di pubblico e critica riscosso con Chinatown, Roman Polanski rifiuta la fruttuosa carriera offertagli dall’establishment di Hollywood per realizzare uno dei suoi film in assoluto più complessi e inquietanti, un'autentica summa di molti dei caratteri distintivi del suo cinema, un thriller psicologico in cadenze di dramma esistenziale di ispirazione puramente kafkiana per come inscena, grazie anche all’espressività scenografia e della fotografia, il viscerale senso di smarrimento e di impotenza del protagonista di fronte ad un mondo apparentemente insensato e inspiegabilmente assurdo che, dandogli la sensazione di tramare costantemente contro di lui, lo porterà a compiere azioni folli e autodistruttive. Da questa angosciante premessa, Polanski sviluppa una vera e propria ossessione cinematografica terrificante e ambigua, che viaggia sempre in bilico tra realtà e finzione analizzandone il labile confine. La genialità del regista, infatti, raggiunge il suo apice nel seminare una serie di indizi che conducono lo spettatore all’incertezza più totale, arrivando a domandarsi se tutto ciò che il povero Trelkowski sta vivendo sia reale oppure sia semplicemente frutto della sua mente deviata e paranoica, che manipola e ingigantisce la quotidianità trasformandola in incubo. Riprendendo le tematiche di Repulsione e, soprattutto, di Rosemary’s Baby, l’autore franco-polacco costruisce all’interno dell’opera un perfetto alter-ego di sé stesso, di cui approfondisce, in quanto straniero con cittadinanza francese, l’impossibile percorso di integrazione in una società ostile e mentalmente chiusa, che lo isola dal resto del condominio e quindi, metaforicamente, dal resto del mondo. Proprio per questo, la sua partecipazione al film come attore (non accreditato) risulta non solo incredibilmente
straordinaria, ma anche funzionale. Dunque, fatta eccezione per alcune prolissità che impediscono al film di prendere quota nella prima parte, L’inquilino del terzo piano rappresenta uno dei risultati espressivi più stupefacenti della poetica polanskiana, un'opera sinistra e angosciante, ambigua e complessa, ma anche intrigante e dal fascino irresistibile. Per gli appassionati del Maestro, assolutamente imperdibile. Da molti è stato ribattezzato come il terzo capitolo di un’ideale “trilogia dell’appartamento”, composta da quest’ultimo e dai due film sopracitati.
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