Regia di Pier Paolo Pasolini, Giovanni Guareschi vedi scheda film
La poesia, il sentimento progressista e umano di Pasolini contro il qualunquismo di Guareschi. Documento da vedere per capire l'Italia e il mondo di cinquant'anni fa, visti da due occhi differenti. Sempre e comunque dalla parte di Pa'
“Perchè la nostra vita è domata dalla scontentezza, dall’angoscia, dalla paura della guerra?”.
“Per rispondere a ciò ho scritto questo film, senza filo cronologico, forse neanche logico... Ma con le mie ragioni politiche e col mio sentimento poetico”.
Così Pier Paolo Pasolini rispondeva alla domanda che apriva il documentario LA RABBIA, prodotto da Gastone Ferranti il quale affidò al poeta regista l’intera opera per poi cambiare idea e affiancargli il punto di vista di destra di Giovannino Guareschi – padre di Don Camillo. Parti in poesia declamate dallo scrittore Giorgio Bassani, dalla voce accorata e parti in prosa dal pittore Renato Guttuso, dalla voce ruvida. Con questi due linguaggi PPP racconta, a partire dal ’56, i fatti d’Ungheria, Suez e Congo. Il processo di decolonizzazione, la Francia di De Gaulle, la morte del Papa fino alla “crisi dei missili di Cuba” e alla morte di Marylin Monroe. Il disappunto, il progresso, “i cieli neri”, “la marea del nostro secolo che ha bisogno della religione ancora disperatamente per dare un senso unico al suo panico, alla sua colpa, alla sua speranza” sono sempre attuali. Una sequenza di immagini emblematiche di quegli anni descritte con la prosa e la poesia, le quali raggiungono il sublime con la piccola Marilyn, versi toccanti sulle note di Lavagnino.
Bene fece nel 2008 Giuseppe Bertolucci a recuperare (con il contributo della Cineteca di Bologna) e rieditare l’originario LA RABBIA DI PASOLINI. Sì perché ancora oggi il “visto da destra” composto da Guareschi lascia a desiderare per qualunquismo e moralismo becero. Un po’ come le Settimane Incom razziste e pregne di pregiudizi (clericalfascisti si diceva allora) ma rivestite di sarcasmo e battute spiritose o presunte tali, di cui era oggetto – come ampiamente documentato negli extra de LA RABBIA e di UCCELLACCI E UCCELLINI, lo stesso Pasolini. Anche qui l’autore di Mondo Candido utilizza la voce di Carletto Romano a mo’ di don Camillo (di sberleffo) che fustiga i costumi italici. La poesia batte ai punti (se non per K.o.) retorica e la qualunque ante litteram.
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