Regia di Franco Brusati vedi scheda film
Pierre (Frank Grimes) è un giovane impiegato che sembra prendere la vita così come viene. Vive da solo ed ha il sorriso sempre stampato in faccia, quasi come il segno indistinguibile di un’innata spensieratezza. In realtà, Pierre avrebbe bisogno di dare e ricevere affetto ed è per questo che si lega fedelmente a Sara (Carole Andrè), una sua vicina di casa che conosce nel momento stesso in cui la salva da un tentato suicidio. Si innamora quasi subito di questa misteriosa ragazza uscita da chissà quale dolorosa vicenda. Anche Sara si affeziona a Pierre, e lo sottopone a dei comportamenti mortificanti come per tastare il suo grado di devozione nei suoi riguardi : esibirsi nudo in un ballo strano, essere attaccato al guinzaglio come un cane, coprirsi di ridicolo in un ristorante di classe, assistere come uno schiavo inerme agl’incontri amorosi con Bernardo (Gianni Garko), un ricco signore alquanto bizzarro. Siamo di fronte al disamore per la vita di una ragazza viziata o a delle prove d’amore che vogliono seguire dei percorsi enigmatici ?
“I tulipani di Haarlem” di Franco Brusati è un film che parla della paura di soffrire di solitudine e del prezzo che ogni singola persona è disposta a pagare pur di venire a capo delle proprie deficienze affettive. Ambientato nella grigia e “laboriosa” Bruges, il film oscilla tra il modo realistico con cui tende a riflettere intorno al tema delicato dell’amore assoluto, e le tonalità grottesche su cui investe per architettare la messinscena. Ne scaturisce un’opera venata di sottile surrealismo, divertente e malinconica insieme. Franco Brusati imbastisce una storia di stampo “rohmeriano”, sia per come segue percorsi sotterranei per indagare la complessità del sentimento amoroso, sia per il modo in cui lega le implicazioni morali agli esiti imprevedibili della storia.
Il loro incontro è quello tra due anime solinghe che trovano l’un l’altro una particolare alchimia : a Pierre dona il pretesto di poter investire finalmente in uno scopo sentimentale ; a Sara favorisce l’illusione di poter vincere il suo disincanto.
Pierre si innamora quasi subito di Sara e sin da subito si mette ad assecondare le sue assurde richieste. Si autoannulla con cieca obbedienza, senza opporre resistenza e senza chiedere spiegazioni. Cerca di penetrare quel mistero di ragazza rimanendo legato alla sua imperfetta ingenuità, al suo modo gioioso di tenere lontani i tentacoli della solitudine. Sara, invece, gioca a fare la ragazza viziata e sicura di sè. Quanto è evidente che dietro il suo ostentato cinismo nasconde una profonda fragilità emotiva. Trova in Pierre la persona capace di donargli spruzzi di insensata allegria, poi inizia ad affezionarsene e le prove a cui lo sottopone, più che essere un gioco a cui anche lei partecipa con spensierata goliardia, sembrano voler essere l’unità di misura di una devozione che si vuole illimitata. Il loro è un rapporto atipico dunque, che fa perno su psicologie mortificate dalla vita e sul diverso modo di ricacciare fuori i fantasmi opprimenti di un’esistenza difficile. Ma se Pierre ostenta ottimismo, voglia di vivere, scanzonata allegria, Sara denuncia una malcelata insofferenza per le ferite che si porta dentro. Ma è in questa loro diversità caratteriale che si cela la faccia effimera dell’inganno, sotto forma della paura di perdere l’amore di una vita nel momento stesso in cui lo si è riuscito a conquistare. Un inganno mortifero che trasforma l’amore nella negazione totale della libertà, la voglia di tenersi legato all’altro nella mortificazione della propria personalità.
“Non essere così allegro, mi rende gelosa”, dice molto emblematicamente Sara sul finire del film, parole che danno il senso di una psicologia afflitta dalla paura, non solo di essere nuovamente abbandonata, ma anche di essere messa in secondo piano rispetto a qualsiasi altra fonte di distrazione.È per questo che Sara ha sottoposto Pierre a delle prove umilianti ed è per questo che Pierre vi si è cimentato con naturale trasporto : perché scorgere nell’altro il seme di quell’amore che si è sempre desiderato di ricevere, significa maturare un’idea di possesso che esige di essere totale per poter produrre i suoi effetti benefici. Ecco, è la salvezza reciproca quella cosa che in entrambi scaturisce nell’esplosione di un amore innaturale.
Il finale è aperto ad ogni possibile spiegazione : Sara ha ottenuto quello che veramente voleva o Pierre si è lasciato faro quello che più desiderava ? Chi aveva più bisogno dell’altro e si è quindi più coscientemente reso succube delle altrui debolezze ? Il loro amore è pericoloso perché non concede alternative alla possibilità di una rinascita sotto altre vesti, perchè guarda in faccia la morte sfidandola ad ogni accenno di fragilità che si palesa.
L’aspetto interessante del film sta in questo modo del tutto particolare di raccontare la storia di questi due ragazzi impreparati alla vita. E lo fa prosciugando il dramma in tonalità fiabesche, mitigando la tristezza nell’allegria, le pene d’amore nell’inconsapevolezza di essere degli amanti perduti. Un film gradevolissimo da recuperare. Come l’intera filmografia del buon Franco Brusati, di cui amo visceralmente "Pane e cioccolata".
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