Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
Ed ecco Nanni Moretti alle prese con una storia che lo coinvolge solo parzialmente, se si considerano gli pseudo-autobiografici (o autoreferenziali?) Ecce Bombo e Sogni d’oro. Dico questo perché Bianca è il suo primo film in cui la storia ha una unità d’azione non frammentaria, più matura e ragionata. Non si distacca da Michele Apicella, ma ora non è più un ragazzo disilluso o un regista in empasse, ma un professore di matematica, di ruolo in una scuola intitolata a Marylin Monroe dove la didattica si fa attraverso i miti di oggi (poster, juke box) e anche i professori sembrano un po’ fuori di testa. Quando incontra la professoressa di francese Bianca si innamora, ma è perseguitato da un commissario che lo ritiene responsabile della morte di due inquilini del suo stabile. Il finale riserverà non meno di una sorpresa. Sorpresa? Beh, forse no.
Abbiamo iniziato a conoscere bene Michele Apicella (e/o Nanni Moretti?) e possiamo dire che l’epilogo che riserva in questo capitolo della sua esperienza cinematografica è solo apparentemente sorprendentemente. Quasi inevitabile. Perché il tema di fondo di questo Bianca, e anche dell’intera filmografia morettina, è la ricerca della felicità, che quasi mai avrà esito felice. “La felicità è una cosa seria”, rivela lo strano professore al commissario, “se c’è deve essere assoluta”. E quindi la conclusione della vicenda di Michele è la sconfitta del proposito che si era posto. Davvero? Lui, in fondo, fa ciò che fa nell'illusorio tentativo di procurare alla comunità intera la felicità.
Apicella è qui ritratto nei suoi lati più oscuramente sinistri o bizzarri e Bianca è il film più nevrotico e teso di Moretti, quello in cui dilagano ossessioni e manie di Nanni. C’è la comparsa della Sacher Torte (un dialogo rimasto nella storia in cui rimprovera un commensale che svela di non aver mai mangiato tale dolce con il mitico: “Vabbè, continuiamo così, facciamoci del male”). Ci sono le scarpe (che sbucano ovunque, vengono notate dal protagonista in primo luogo). C’è il mondo delle canzoni italiane d’autore (Il cielo in una stanza di Gino Paoli come metafora disincantata e rassegnata della deriva della scuola; Dieci ragazze di Lucio Battisti cantata in una gita scolastica in modo spudoratamente stonato; Insieme a te non ci sto più di Paolo Conte, interpretata struggentemente da Caterina Caselli, che sta ad esplicitare il sentimento di profonda inquietudine di Michele). C’è una pista di automobiline, che comparirà ancora nel successivo La messa è finita, e che rappresenta l’esigenza di misurarsi con la sfida del suo autore.
C’è qualcosa da dire anche sul mestiere di Apicella: perché proprio la matematica? Perché è la disciplina in cui sono presenti le caratteristiche che non appartengono al protagonista: chiarezza, linearità, logica, precisione. Michele Apicelli è tutto tranne che chiaro, lineare, logico, preciso. È un ossimoro surreale e paradossalmente disorientante. Nella sua totalità, è un film rassegnato e feroce, che esprime tutta il disincanto del suo autore verso la costruzione di rapporti costanti e robusti. A volte ci viene il sospetto se abbiamo raccontato Nanni Moretti troppo dipendentemente dai suoi personaggi (e quindi dai suoi film), dando quindi troppa importanza ai vari Michele Apicella della sua filmografia. Può essere, ma probabilmente non è così. Perché c’è troppo trasporto nell’interpretazione di Nanni, specialmente qui: il film, infatti, a volte, viene travolto da questo uragano mite.
Meno male che la schiva e (troppo?) enigmatica Laura Morante ogni tanto lo tiene a bada, anche perché tutti gli altri comprimari (da Dario Cantarelli a Vincenzo Salemme, da Enrica Maria Modugno fino al surreale ruspante Remo Remotti) non hanno né la forza umana né il coraggio di fermare la crisi di quest’uomo debordante. E qui ci riferiamo a Michele Apicella, non a Nanni Moretti. O forse no? Essendo il film un giallo psicologico mascherato, è lecito coltivare questo dubbio.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta