Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
Opera complessa e ricca di sfaccettature, forse l'opera summa morettiana. Comunque, mentre potrei citare un'infinità di ragioni per vederla, non me ne verrebbe in mente alcuna, per non farlo. Innumerevoli le frasi e scene entrate negli annali del cinema. Da apprezzare e riguardare nel corso della vita.
Quando penso a Bianca, ho in mente quello che per me è "il" capolavoro di Moretti. Qui l'autore, quasi per paradosso, sembra mettersi ancora più a nudo che nei lavori precedenti, in cui lui "era" se stesso. Veste ancora i panni di Michele Apicella, ma quasi per l'ultima volta: è già in corso la transizione verso personaggi che lo raccontano ma che non sono più lui. Sarà ancora "lui", alias Michele Apicella, in Palombella Rossa, per poi tornare o in panni definitivamente diversi, oppure con il proprio nome e cognome.
Questo penultimo Michele Apicella, quindi, ci racconta di un personaggio diverso dal regista, ma con i suoi dissidi interiori e alcune delle sue morbosità (le scarpe, in primis). Ancor più drammatico di Ecce Bombo, ma ancor più comico, con le sue situazioni assurde, inaspettate, e personaggi a dir poco surreali interpretati da comprimari di tutto rispetto.
Con Bianca il regista sembra aver raggiunto la maturità compiuta: ancora in Sogni d'oro si respirava un'atmosfera acerba sotto vari punti di vista, con un montaggio che, analogamente a Ecce Bombo, rappresentava di fatto il raccordo tra episodi ed avvenimenti privi di un reale sviluppo narrativo. Lì ogni scena era autonoma, e avrebbe potuto essere spostata o scambiata, senza che quasi lo si percepisse. Qui, per la prima volta, Moretti realizza un'opera compiuta con una trama e uno sviluppo cronologico che vanno da un inizio a una fine, e l'operazione riesce egregiamente, con tanto di finale "a sorpresa".
Questo lungometraggio è comunque destinato a rimanere quasi un unicum, nella filmografia del suo autore, potendosi accostare sotto il profilo narrativo al successivo La messa è finita, rispetto al quale sono però profonde le differenze, e a La stanza del figlio. Prima, si parlava esclusivamente della vita del regista, come del resto, ancora più esplicitamente, si farà in Caro diario e Aprile, e, ancora, in Mia madre.
Forse proprio la commistione tra diversi elementi caratteristici del cinema morettiano rende Bianca così particolare e pregiato: qui si incontrano e si amalgamano le tematiche personali e le ossessioni più intime, con il distacco di una narrazione cinematografica vera e propria.
Non so, e forse non saprò mai, se qui Moretti abbia inteso trasmettere una morale, o semplicemente condividere alcune delle sue ansie esistenziali. Certo, ho sempre pensato che la battuta finale fosse profondamente sentita, e la sua vita sembrerebbe averlo dimostrato.
Se dovessi descrivere la funzione didascalica sottesa a quest'opera, penserei probabilmente alle ossessioni che ci limitano, inibendo il nostro potenziale. Forse il frutto avvelenato di una società estraniante, che distorce la socialità e le relazioni: ma era quello che affliggeva l'autore, o che questi voleva rappresentare? Difficile affermarlo con certezza.
Sotto il profilo tecnico, la regia appare finalmente matura, affiora anche la trama e non è affatto banale nè scontata, mentre la fotografia regala scorci di Roma incantevoli, e una miriade di immagini che restano impresse.
Nanni Moretti attore, anche, sembra al suo apice, superato solo ne La stanza del figlio. Ma i comprimari sono eccezionali: molti li abbiamo già visti e li rivedremo nelle sue opere. Remo Remotti/Siro Siri, Dario Cantarelli/preside e Mario Monaci Toschi/Edo, in particolare, dipingono dei personaggi surreali e a tratti caricaturali, in modo magistrale.
Tutto sembra viaggiare proprio come l'orologio descritto da Siro Siri: in modo automatico, con incastri perfetti.
Laura Morante bravissima e di grande spessore, capace di distinguere la sua Bianca dall'universo variegato che le ruota attorno. Lei rappresenta, moralmente ed esteriormente, la normalità cui il protagonista ambisce, e della quale molti sembrano totalmente disinteressarsi.
Probabilmente questa è l'opera morettiana dei record, quanto a citazioni e frasi entrate nella storia del cinema: dal bicchierone di Nutella alla Sacher Torte. Da: "E non hai pietà tu di me?", a "E' triste morire senza figli". Il tutto culmina con il monologo finale, sulla vita e... sulle scarpe! E, poi, c'è: "Io mica lo so cos'è la mia generazione". Qui la dimensione sociale si contrae, lasciando a nudo l'individuo, quello che probabilmente, come suggerito in Ecce Bombo, ha visto appunto collassare le ambizioni collettive e gli ideali di massa, trovandosi a fare i conti con se stesso e con il post-idealismo, in quella bolla di sapone degli anni '80 (che non a caso vengono ricollocati accanto ai '50). Lì, i più anziani avranno una stretta al cuore: perfino chi, come me, era soltanto un bambino al tempo in cui Bianca usciva al cinema, può forse immedesimarsi nel disorientamento di chi era adulto negli anni '80, e si trovava a fare i conti con un mondo che stava impennando e metteva a dura prova la capacità di adattarsi.
In ultimissima analisi, Bianca è probabilmente proprio questo: il diario di un disadattato, quindi il seguito ideale della vita del Michele Apicella di Ecce Bombo, cresciuto all'insegna di un idealismo politico e sociale ormai al tramonto, e destinato a schiantarsi nel confronto con il modello consumista, individualista e pop degli anni '80. L'alba del crollo dei valori, di riflesso (o forse in origine) invididuali che si traduce in un corto circuito emotivo e relazionale, con esiti catastrofici dinanzi allo scontro tra aspirazioni e realtà. In ciò sta anche l'eccezionale attualità del film, che potrebbe tranquillamente descrivere l'ulteriore sobbalzo interiore e sociale che i nati negli anni '60 e '70 hanno vissuto, con l'avvento dell'informatica e della società multimediale.
Senza dubbio uno dei film da portare con sè sull'isola deserta: potremmo guardarlo e riguardarlo molte volte, scoprendo sempre qualcosa di nuovo, anche in ragione di come si è dipanata la nostra vita nel frattempo. Sicuramente, su tutto il messaggio da non sottovalutare è: imparare a non farsi scivolare la vita accanto, a mettersi in gioco per ciò che conta, e rassegnarsi con filosofia (quindi con accettazione consapevole, e non con mesta rassegnazione) all'incontrollabilità della vita e delle persone, come modo per crescere ed evolvere. La pena, nel non farlo, sarebbe quella di precludersi la felicità.
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