Regia di Peter Hyams vedi scheda film
Il coraggio e l’audacia (oltre alle indubbie opportunità commerciali che il seguito dell’immortale capolavoro di Kubrick avrebbe comportato ) sono le due virtù a cui ha dovuto attingere Peter Hyams per pervenire alla decisione di osare un sequel di tale portata. Sicuramente il preventivo avallo di Kubrik - il quale peraltro, in linea con la sua filosofia, non aveva minimamente intenzione di occuparsene personalmente – ha certamente influito sulla decisione, ma la consapevolezza di misurarsi inevitabilmente con una così pesante eredità mi invoglia a considerare tale azzardo con una certa qual benevolenza.
“2010 l’Anno del Contatto” di per sé può sicuramente essere annoverato come un discreto film di fantascienza, direi di livello "medio alto" con un’ottima fotografia dello stesso Hyams (vero factotum della pellicola essendosi occupato, oltre che della fotografia, altresì della regia, sceneggiatura e produzione), buoni effetti speciali (compatibilmente con l’anno di produzione) efficaci ma mai eccessivi e, in ultimo, una discreta coerenza con il secondo dei quattro libri di Arthur C. Clarke (2010 Odissea Due) il quale, dopo il successo del primo, aveva pensato bene di strizzare a fondo la sua fantasia generando ben altri tre volumi consequienzali l’uno all’altro.
E quale argomento si aspettava il pubblico dalla penna di Clarke? Ma naturalmente di conoscere a quale destino erano andati incontro i componenti della Missione Giove del 2001, quindi lo status dell’astronave Discovery, con annesso il supercomputer Hal 9000 e, soprattutto, quello dell’astronauta David Bowman! In questo, sia Clarke nello scrivere che Hyams nel mettere in scena, si barcamenano discretamente, Occorre però essere consapevoli che, di norma, raramente i “capitoli due” eguagliano i primi, figuriamoci in questo caso dove il “ primo capitolo” è rappresentato da un cult della cinematografia mondiale, con i suoi messaggi metafisici e le sue sofisticate tecniche registiche. E’ chiaro che con quest’opera di Hyams non possiamo (e non si pretende di) emozionarci come era avvenuto con la sottile bravura del Maestro nel sottolineare come il Ramapithecus del pleistocene e il moderno e tecnologico Homo Sapiens reagissero in modo analogo, con un misto di stupore- riverenza, alla scoperta dello strano, levigato e corvino parallelepipedo. Al contempo ci si aspetta di conoscere ciò che il finale ad ampio spettro non ci aveva permesso di dirimere, e qui purtroppo il sequel di Clarke/Hyams perde qualche colpo, non tanto per negligenza o incapacità, quanto per una oggettiva impossibilità di inventarsi un epilogo chiaro e verosimile, come d’altra parte sovente accade quando dopo stranianti quarti d’ora di suspense ci si attenderebbe di essere rinfrancati da un qualche strabiliante compimento, soppiantato purtroppo da deludenti escamotages parzialmente fuorvianti e inattendibili.
Kubrik non amava i dialoghi superflui e melensi, in 2001 i Iunghi minuti di silenzio non si contano, mentre la vicenda attuale ha un inizio di tutt’altro tenore: lunghi ragionamenti “a bordo” di una delle 27 mega parabole del Very Large Array (VLA) Telescope di Socorro nel New Mexico tra il russo Curnow e il dott.Floyd (all’epoca era uso doppiare l’inglese senza inflessioni dialettali, mentre gli altri idiomi venivano caratterizzati da un accentuato e patetico accento, in questo caso russo. Non capitava mai il contrario); a seguire poi il lezioso quadretto familiare dove il dott. Floyd rivela a moglie e figlio l’intenzione di voler partire con la missione sovietica, ottenendo da lei timide perplessità e da lui infantili curiosità.
Le sequenze a bordo della Leonov, il viaggio con relativa aerofrenata in atmosfera gioviana, l’individuazione della Discovery e relativa reimpostazione dell’elaboratore HAL 9000 sono senza dubbio apprezzabili, come lo sono le vicissitudini relative all’esplorazione esterna indotta dalle inquietanti e coinvolgenti “novità” riscontrate sul satellite Europa e sul mega monolite orbitante, ma si impongono inevitabili analisi considerata la correlazione tra le due opere.
Se il trascendente in 2001 era rappresentato esclusivamente dal fantomatico monolite e dalle afone e sublimi sequenze finali del comandante Bowman - il quale, dopo il viaggio spazio-temporale, approda con la sua capsula all’interno della stanza stile impero dove la sua persona non è razionalmente decifrabile ma solamente interpretabile dal nostro intelletto - Hyams, in 2010, azzarda palesemente molto di più quando Bowman, dalla nuova dimensione (sovrannaturale?) in cui è confinato, prima interferendo via etere con le normali frequenze tv instaura con la moglie un dialogo tra lo sdolcinato e il patetico (non domandiamoci in che modo la voce di lei potesse pervenire a lui essendo il tv privo di microfono), e poi (scimmiottando Kubryck ma giustificato dal copione di Clarke) appare trasfigurato al dott.Floyd non solo esibendosi in fasi cronologicamente diverse della sua vita, ma interloquendo con tanto di arcana voce allo scopo di allertare gli equipaggi su quell’imminente “qualcosa che accadrà”.
Evidentemente non è biasimevole più di tanto Hyams nel momento in cui trasfonde tout court su pellicola ciò che Clarke ha scritto su carta, dopodiché prendiamo atto delle individualità artistiche che contraddistinguono il suo stile, a prescindere dal parere degli spettatori. A questo proposito Hyams effonde quell’aura mistica palesando in forma più eclatante ciò che Stanley aveva derogato all’immaginazione con il solo tenue input dell’afflato finale sull’imponderabile e misterioso destino dell’uomo.
Inevitabilmente i molteplici dialoghi previsti dalla sceneggiatura di 2010, uniti al maggior numero di situazioni attinenti la vicenda, amplificano la possibilità di errori, o comunque di frangenti non sempre scientificamente ponderati e, conseguentemente, soggetti a non infrequenti quanto paradossali cantonate. A essere pignoli, ad esempio, si potrebbe obiettare che Giove per poter innescare un inizio di fusione termonucleare e trasformarsi in stella dovrebbe avere una massa di 75/ 80 volte maggiore, mancando la quale verrebbero meno le condizioni di pressione (e quindi di temperatura) necessarie. Altra ingenuità il fatto stesso che, ben Giove avesse posseduto le caratteristiche per diventare una stella, il sistema solare avrebbe avuto scarse possibilità di esistere (pari a zero con Giove-sol occupante la stessa orbita attuale in quanto quest'ultima verrebbe sconvolta di pari passo con l'indispensabile aumento di massa ottenuto attraverso i monoliti) in quanto la stella Giove e la stella Sole avrebbero dato origine a un sistema binario, cioè a una cosiddetta “stella doppia” ( molto più diffuse nella nostra galassia che non i sistemi planetari come il nostro) con le due stelle orbitanti attorno al loro “Punto di Lagrange” (ovvero attorno al punto di equilibrio tra le loro masse). Un terzo paradosso lo riscontriamo nell’ingenuità del proporre il satellite galileiano “Europa” come futuro sviluppo di vita in quanto, essendo posizionato a soli 670.000 km da Giove, nel momento in cui quest’ultimo si fosse trasformato in stella avrebbe in pochi secondi sublimato tutti I suoi satelliti.
La sceneggiatura propone poi un’escalation dalla Guerra Fredda alla Guerra Totale senza tener conto che, se nel 1984 ciò poteva avere un barlume di verosimiglianza, nel 2010 era totalmente fuori tema (ma su questo aspetto potremmo essere clementi tenendo conto che solo con il senno di poi possiamo affermarlo). Piuttosto non si possono non notare (nella versione italiana) alcuni esilaranti passaggi dovuti al doppiaggio il cui apice lo riscontriamo in una frase proferita dal dott.Chandra, padre di HAL, quando (al 97° minuto per chi volesse verificare) nel corso della discussione a bordo della Leonov su come convincere l’elaboratore al “sacrificio” dice: ” Che la nostra base fisiologica sia il carbonio o il silicone non fa nessuna differenza”. Banale e innocente errore del doppiaggio che ha tradotto il termine inglese "silicon" in silicone, ma quest’ultimo "fisiologicamente" - per essere chiari, la fisiologia, riprendendo il termine di Chandra, si occupa esclusivamente dello studio degli esseri viventi animali o vegetali - non essendo alla base della vita (anche se esistono teorie secondo le quali il silicio potrebbe sostituire il carbonio ), ancor meno può sostituire il silicio nei componenti base degli eleboratori elettronici a cui alludeva in effetti Chandra riferendosi ovviamente ad Hal. Si riconosce comunque l'intento di Chandra di attribuire con tale frase pari dignità alle entità pensanti, che si tratti di elaboratori oppure di persone in carne ed ossa.
E' doveroso comunque rendere merito, oltre che alla superlativa fotografia, a un' avvincente scenografia con ottimi effetti e a un' indovinata colonna sonora (quando si astiene dalla mimesi con 2001) ma ancor di più alla seppur breve parte di Keir Dullea, nonché al cameo iniziale di A.C.Clarke e a quest’ultimo insieme a Kubrick raffigurati sull’azzeccata copertina della rivista Time.
Sono del parere che valutando questo sequel con gli stessi parametri adottati per il capolavoro di Stanley il confronto sarebbe inevitabilmente impietoso (si renderebbe doveroso convertire le cinque stelle di “2001” in una o due stelle per “2010”), mentre, con un criterio più equo e razionale, opterei per considerare l’opera di Hyams fine a se stessa tenendo conto delle sue indubbie peculiarità che le hanno permesso, come accennavo precedentemente, di non sfigurare nella panoramica mondiale del genere fantascientifico, conferendole quella che presumo essere una meritata valutazione di tre stelle e mezza.
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