Regia di John Boorman vedi scheda film
“Le macchine cederanno e tutto il sistema crollerà. Allora?”
“Allora cosa?”
“Dovremo sopravvivere. Chi sarà in grado di riuscirci? Questa è l'incognita: sopravvivere.”
Presso i Monti Appalachi, la zona incontaminata circostante all'immaginario fiume Cahulawassee verrà presto sommersa dall'acqua a causa dell'imminente costruzione di una diga. Il progresso della civiltà è inarrestabile, d'altronde. Quale occasione migliore per quattro amici di Atlanta di sfruttare un fine settimana per cimentarsi nella discesa delle rapide del fiume, condividendo l'ultimo afflato di una natura prossima ad essere spazzata via? Lewis (Burt Reynolds) è la mente propositiva e fuori controllo del gruppetto, mentre Ed (John Voight) è il più equilibrato. Come prima cosa, fanno tappa in un piccolo villaggio per affidare a qualche autoctono il compito di portare le loro due macchine a valle perché i quattro possano riprenderle una volta terminata l'escursione e Drew (Ronny Cox) trova anche il tempo di metter su un'allegra jam session sulle note di “Dueling Banjos” con un ragazzino ritardato del posto, anche lui stranamente ostile come gli altri. La discesa in canoa parte comunque nel migliore dei modi, ma il giorno successivo l'incontro con due montanari assai poco raccomandabili durante una sosta sconvolge i loro piani: Bobby (Ned Beatty), il gradasso, approssimativo bonaccione di turno e quarto tassello del gruppo, viene barbaramente stuprato e resta, com'è comprensibile, scioccato nonostante Lewis risolva la situzione uccidendo uno dei due malviventi e mettendo in fuga l'altro. La traversata prosegue, ma i quattro cominciano a macchiarsi di una colpa dietro l'altra nello sforzo di lottare contro un nemico indefinibile, andando incontro a grosse perdite e dovendo così affrontare, oltre che una natura al contempo moritura e mortifera, anche le autorità...
“Un tranquillo weekend di paura” è un film girato in modo eccelso da parte del regista John Boorman, con un parametro incontestabile a sostenerlo, ossia l'immutato vigore con cui riesce a catturare a distanza di quarant'anni dalla sua produzione; sceneggiato dallo scrittore del libro da cui è tratto, ovvero da John Dickey, che ha trovato spazio per un cameo nel film nonché sul set per fare a cazzotti con Boorman, si presenta come un incrocio fra l'avventura, il western e il thriller, ma è in realtà più stratificato e inappuntabile di quanto potessi credere prima di vederlo: si accenna al rapporto fra la natura e la civiltà, all'amicizia, alle differenze caratteriali che muovono i suoi fili, alla xenofobia, all'istintività e tutti questi richiami si palesano in maniera per niente forzata, lineare, realistica. Sul piano tecnico non possono che essere da elogiare senza indugio le trovate registiche di Boorman, la fotografia del futuro vincitore del Premio Oscar per “Incontri ravvicinati del terzo tipo” Vilmos Zsigmond, la sceneggiatura impeccabile di Dickey e le straordinarie prove di tutti gli interpreti, con Voight e Reynolds sugli scudi in parti stereotipate ma perfette anche nella loro evoluzione caratteriale. Le scene più famose sono quelle già citate del duetto chitarra-banjo fra Drew e il ragazzino e il raggelante stupro del povero Bobby, ma ogni secondo di “Deliverance” (il titolo originale, letteralmente da tradurre come “liberazione”) ha il respiro epico della grande opera, dalle maestose scene avviluppate nelle rapide impetuose del Cahulawassee fino all'irrisolto e splendido finale. **** e ½
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