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Un tranquillo weekend di paura

Regia di John Boorman vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Un tranquillo weekend di paura

di Dany9007
8 stelle

Pellicola significativa del nuovo modo di fare cinema degli anni ’70, che aveva decostruito vari generi, a partire dal western (i vari Soldato blu, Corvo rosso non avrai il mio scalpo) al poliziesco (Il braccio violento della legge) al gangster (Il padrino), in questo caso il film è un detonatore nel distruggere l’immagine bucolica che i registi avevano sempre accostato al contesto rurale degli Stati Uniti. Se la “fuga dalla città” era sempre rappresentata come un ritorno all’innocenza e alla tipica ospitalità quasi da film western di vecchio stampo, con donne impegnate a preparare torte e uomini destinati a domare una natura selvaggia ma dai sentimenti nobili e quasi cavallereschi, Boorman ci catapulta in una realtà rivoltante. La prima parte del film, che è evidentemente quella meglio riuscita, fa tuffare lo spettatore in un ambiente da subito ostile e malato: i nuovi arrivati di città sono subito malvisti dai montantari/campagnoli, i quali li reputano sostanzialmente delle signorine piene di soldi con lo sfizio di farsi un week end dal gusto avventuroso (ed in parte è così). Inoltre vediamo subito un contesto fatto di persone tarate, probabilmente incestuose con bambini portatori di handicap e vecchi toccati. Naturalmente la vicenda tocca l’acme dell’orrore nella sequenza delle molestie ed infine dello stupro ai danni di Bobby: una scena entrata nella memoria realizzata in modo vivido e con una carica di sopraffazione e violenza che lasciano a bocca aperta, peraltro probabilmente si tratta della prima rappresentazione dello stupro ai danni di un uomo sul grande schermo. La seconda parte non mantiene lo stesso livello di suspense: per quanto vivida nella rappresentazione dei dubbi sulle scelte del gruppo che infatti si divide tra coloro che vogliono tacere l’omicidio del montanaro e quindi evitare un processo dall’esito scontato in quanto nella giuria ci sarebbero probabilmente dei parenti del morto, e il più solerte Drew che invece vorrebbe denunciare il tutto alla polizia. La regia lascia più interpretazioni a quanto avviene nella tragica discesa del fiume per arrivare alla meta: non sappiamo se Drew muore per un malore (ormai sconvolto dal senso di colpa) o colpito da un proiettile, non abbiamo la certezza che Ed abbia eliminato il complice dello stupratore o forse abbia ammazzato erroneamente un cacciatore. Tutto questo è allo stesso tempo funzionale al senso di colpa che si instaura nei protagonisti (in Ed in particolar modo) una volta terminata la vicenda, in quanto tutte le loro certezze rimangono profondamente sconvolte da questa disavventura. Da notare anche l’interessante caratterizzazione dei personaggi: l’indiavolato Burt Reynolds, che sembra il cittadino abituato più che altro ad andare in palestra e che si atteggia a guida esperta e un po’ arrogante, ai danni in particolare del povero Bobby, interpretato da Ned Beatty, con la sua aria da bonaccione imbranato; poi vi sono le due figure più miti del film, Ed, intrpretato da Jon Voight che è l’uomo che ammette di avere famiglia e di non esser portato per l’avventura, il quale però sarà destinato a dover assistere ed infine gestire alcuni degli aspetti più crudeli del viaggio del gruppo (assisterà allo stupro di Bobby e sfiorerà lo stesso destino, oltre a dover uccidere a sua volta un uomo). Infine Drew, interpretato da Ronnie Cox (il mitico Dick Jones di Robocop), qui in un ruolo da brava persona/cittadino modello, che è anzi il protagonista di una delle sequenze più memorabili del film con la sua chitarra, con la quale imbastisce un “dialogo musicale” con un ragazzo autistico del villaggio di montanari, ma che soccomberà travolto peraltro da uno straziante senso di colpa nell’esser stato complice di un omicidio, per quanto del tutto legittimato dalla violenza subita.  

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