Regia di Robert Mulligan vedi scheda film
Un plotone di soldati in missione in territorio Apache libera una donna bianca che era stata catturata dieci anni prima e che ha avuto un figlio da un guerriero della tribù; lei non ha più un posto dove tornare, uno scout appena congedato dall’esercito la prende con sé, ma l’ex marito non demorde. Un western di transizione, che rielabora elementi del cinema classico cercando di portare qualche innovazione ma senza osare troppo (complice forse anche lo sguardo ingenuo di un non specialista del genere come Mulligan): è vero che “comincia dove finisce Sentieri selvaggi” (Mereghetti), però in fondo l’ex marito, più che recuperare una preda, sembra solo voler difendere l’integrità della propria famiglia. Basta vedere Soldato blu, che è dell’anno dopo, per rendersi conto che altre soluzioni erano già praticabili: invece qui gli indiani continuano a essere cattivissimi, e nessuno nutre dubbi che il loro posto sia nelle riserve. La parte migliore è quella centrale, ossia appunto quella senza indiani (i quali, secondo il copione codificato da Ombre rosse, fin quasi alla fine restano una minaccia sempre in agguato ma invisibile): il trattenuto idillio fra un uomo ruvido e una donna spenta, entrambi diversamente segnati dalla vita e disabituati ai contatti umani.
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