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Zero in condotta

Regia di Jean Vigo vedi scheda film

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La recensione su Zero in condotta

di giansnow89
7 stelle

Film solo in apparenza di denuncia o di satira, in realtà traboccante di umanità e speranza.

Non si può discettare di Zéro de conduite senza passare in precedenza per il racconto della vita di Jean Vigo. E' uno di quei casi in cui film e autore sono un tutt'uno. Il film è solo apparantemente un manifesto ideologico, che incita alla ribellione popolare contro le dittature che negli anni '30 avevano steso un oscuro velo sull'Europa tutta: e dire che le analogie ci starebbero tutte. I ragazzini del collegio rappresenterebbero l'innocenza delle primavere socialiste, e sarebbero indovinata anticipazione delle resistenze della Seconda Guerra Mondiale. Le autorità del collegio, il ridicolo rettore nanetto con la barba, l'alto sorvegliante soprannominato Bec-de-Gaz (lampione, reso come Cornacchia nella versione nostrana), potrebbero essere figure pittoresche che buttano in satira i grandi dittatori dell'epoca, che non erano propriamente soggetti prestanti, non avevano certo il physique du rôle. Il loro potere era tale grazie all'ignoranza e alla credulità della gente, era una grande ombra che le loro misere figure proiettavano su una parete, perché presi da soli, senza il consenso del popolo, erano veramente soggetti meschini. Se l'auctoritas non è sorretta da una elevata statura d'animo, la sua impalcatura è davvero molto fragile, e basta il soffio di 4 ragazzini vivaci per buttarla giù. Sarebbe in qualche modo affascinante intendere il film di Jean Vigo come una metafora della condizione europea del tempo, in realtà la pellicola ha un taglio più squisitamente autobiografico. La morte misteriosa del padre in una cella, l'esperienza personale nei collegi, a stretto contatto col regime repressivo che ivi vigeva, un Sistema che tendeva a omologare tutti gli studenti per renderli soldatini modello, ingranaggi della grande macchina del governo (e anche qui è difficile non pensare all'apparato dell'educazione scolastica nel ventennio fascista). Nel film il riso è subito soppiantato dall'amarezza, è impossibile non notare il rimpianto di Vigo per quello che avrebbe potuto e voluto essere, e non è stato. La tubercolosi l'avrebbe fatto mancare solamente un anno dopo. I quattro ragazzini diventano forse una proiezione dei suoi desideri più inconfessabili, la grande risposta all'incompiutezza della sua esistenza, un immortale sberleffo a quella grande menzogna che è l'autorità costituita e imposta. O forse, in un impeto ancor più sognatore, è un inno alla libertà e alla fantasia, un invito a librarsi in volo sciogliendosi dalle catene degli obblighi-doveri. No, non è un film graffiante, non è un film dissacrante come lo dipingono in molti: è il penultimo baluginio di vita, di speranza (l'ultimo fu il successivo Atalante) che si concesse un giovane uomo che vedeva la fine vicina. 

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