Regia di Jean Vigo vedi scheda film
Terzo lavoro cinematografico di Jean Vigo, ventottenne che aveva dato alla luce fino a quel momento due bei cortometraggi (A proposito di Nizza e Taris, roi de l'eau); questa volta il promettente cineasta francese arriva al mediometraggio con un film più che "sull'infanzia/adolescenza", "dedicato all'infanzia/adolescenza". Ovvero: la storia di Zero in condotta mette in scena il periodo della crescita raccontandolo in maniera atipica, come quello più difficile della vita di un uomo e uscendo dalle convenzionali retoriche che lo inquadrano come un tempo spensierato e gioioso; ma al centro della trama non c'è semplicemente la giovane età dei protagonisti, bensì una storia di riscatto, insubordinazione, rivoluzione. Impossibile non trovare in ciò un richiamo autobiografico, all'anarchia esistenziale e artistica che Vigo visse nella sua breve vita (morirà l'anno seguente, senza neppure riuscire a terminare il suo primo lungometraggio, L'atalante). Come nei precedenti film, il direttore della fotografia e compagno di sperimentazioni visive è Boris Kaufman (fratello di Dziga Vertov); i momenti di forte impatto sono numerosi e la fuga finale sui tetti rimane probabilmente la sequenza più celebre della pellicola. Palese il riferimento che il Truffaut dei Quattrocento colpi (1959) farà a Zero in condotta; ma forse gli è debitore anche Manoel De Oliveira per Aniki Bobò (1941). L'aria repressiva che si respira nei collegi francesi e la pessima figura degli educatori causarono a questo film parecchi problemi con la censura. 7/10.
Un gruppo di ragazzini al collegio si scatena, complice anche la repressione tirannica del direttore, un nano barbuto e presuntuoso. Dopo essersi beccati uno zero in condotta, tre studenti scatenano la rivolta di tutto il collegio contro il corpo docenti.
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