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Zero in condotta

Regia di Jean Vigo vedi scheda film

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La recensione su Zero in condotta

di alan smithee
10 stelle

PROPOS DE ... JEAN VIGO

Recensione nr. 4000.

Quando affronto le ricorrenze a numero tondo, ogni millesima recensione ormai, all'incirca ogni tre anni, mi piace dedicare la circostanza ad un film eccezionale, o particolarmente importante per me, o per la storia del cinema.

Zero in condotta è, analizzato col cuore altrove, niente più che un piccolo film, già a partire dalla sua durata: soli 41 minuti, che segnano comunque il traguardo per il raggiungimento della direzione di un'opera della dimensione del mediometraggio. Un Jean Vigo che in quell'inizio di anni '30 risultava reduce da due promettenti cortometraggi, A proposito di Nizza (1930) e Taris, roi de l'eau (1931) e che, per crudeltà della sorte e come vero ed emblematico atto criminoso del fato nei confronti dell'arte cinematografica nel suo complesso, rimasto poi eternamente giovane, vista la prematura scomparsa a 29 anni per l'aggravamento da tubercolosi di cui soffriva già da ragazzo, avvenuta l'anno successivo, nel 1934, durante le riprese del capolavoro incompiuto L' Atalante.

scena

Zero in condotta (1933): scena

Ma è un film, Zero in condotta, che, come tutte le quattro opere appena citate che fanno capo al talentuoso regista Jean Vigo, ha aperto la strada a numerosi altri autori che, più fortunati del nostro, hanno potuto mettere a frutto la propria abilità e portare avanti ciascuno un proprio discorso e stile cinematografico ben definito ed in grado di maturare fino all'eccezionalità, facendosi tuttavia spesso influenzare dallo stile di questo tenace e sfortunato pioniere della settima arte.

La vicenda si apre con la fine delle vacanze, evento traumatico che riporta gli studenti nei collegi ove stanno conseguendo ognuno il proprio percorso scolastico.

Vigo riprende i ragazzi che, un po' mestamente, ma senza rinunciare a sprizzare la vitalità scanzonata propria della giovane età che li caratterizza, si apprestano a tornare nella scuola che li ospita ed accoglie, attraverso un percorso in treno. All'ingresso qualche ragazzo particolarmente affranto, "col cuore gonfio", si lascia vincere dalla malinconia a tal punto che il genitore si convince a farlo dormire ancora un'ultima notte a casa propria.

scena

Zero in condotta (1933): scena

Chi non ha questa fortuna, si reca nel dormitorio, ove il professore che gestisce la camerata, comincia a dettare legge e a punire i più scalmanati, ingiungendo loro di restare in piedi in camicia da notte davanti al suo letto che sovrasta la camerata, cinto da un lenzuolo che ne assicura privacy e salvaguarda da sguardi inopportuni.

Si ricomincia, entro un circolo sociale costellato di regole e divieti, ove ogni ragazzo deve impegnarsi a far fronte a doveri, cercando di guadagnarsi i pochi attimi di piacere che contraddistinguono gli scarsi minuti di tempo libero che il fine settimana ancora riserva, qualora nessuna punizione sia stata inflitta durante il faticoso impegno settimanale tutto dovere e divieti spianati implacabilmente lungo il cammino.

Succede molto presto che i soliti quattro monelli verranno ripresi e puniti in modo esemplare: zero in condotta, provvedimento che mette a repentaglio per i quattro anche la possibilità di trascorrere del tempo libero nel fine settimana.

E' questa circostanza che fornisce ai quattro il coraggio e la determinazione per ribellarsi, approfittando della complicità del balordo ma solidale nuovo sorvegliante, Huguet, uomo dalle movenze imprevedibili e bizzarre, che lo rendono come un eroe dinanzi all'immaginario collettivo dei ragazzi, a confronto con la repellente e vigliacca casta adulta contro la quale costoro sono costretti perennemente a confrontarsi, pagando uno scotto sempre pesante e a volte pure doloroso.

Jean Vigo

Zero in condotta (1933): Jean Vigo

Gioioso e commovente inno alla libertà e alla naturalezza, contro le regole assurde, la burocrazia inflessibile ed ignorante che già a quei tempi regolava lo scandire degli attimi di vita, Zero in condotta è un film corale, poetico,  appassionante, girato con uno stile unico che alterna meravigliosamente e senza sforzi narrativi il realismo del mondo adulto deliberatamente organizzato ed inflessibile, ma anche ruvido e senza sfumature, con la fantasia del mondo visto, anche in questa occasione in prima persona, con occhi adolescenti trasognati e disposti ad accogliere il lato magico che la mente vivida e aperta dei bambini riesce a cogliere nel leggere ed interpretare i singoli scandagli di ogni agire quotidiano, anche il più banale e ricorrente.

Vigo tenta anche di mescolare l'antitetico carattere comportamentale che distingue in modo inevitabile e spiazzante la maturità inflessibile ed a volte ottusa del mondo adulto con la freschezza spesso indolente propria dell'universo adolescenziale, e, nel caso specifico, con la scelta bizzarra di far interpretare il rettore nano da un bambino reso per l'occasione barbuto, ma lasciandogli la voce infantile solo lievemente storpiata, così come attribuendo comportamenti e mosse infantili e stravaganti al sorvegliante Huguet, il cineasta forza volontariamente la mano, quasi a dimostrare l'impossibilità di giungere ad una soluzione che possa far da compromesso a questo scontro generazionale inevitabile ed eterno. 

Realtà adulta cieca e intollerante, e spensieratezza senza contegno propria del mondo possibilista e aperto alle svolte magiche dei ragazzi, diventano pertanto un continuo refrain che si alterna come in una lotta senza possibilità di tregua, entro la quale ognuna delle due opposte correnti cerca invano di imporsi sull'altra ed avere la meglio, ma sempre col risultato di una perenne impossibilità di trovare una adeguata mediazione che riesca a definire un saggio compromesso in grado di portar il giusto grado di reciproca soddisfazione.

Il film meraviglioso appare intriso di sfumature che variano da accenni alla sessualità ambigua di una adolescenza in piena azione di costruzione e definizione, alle metafore costruite per dare sferzate all'ottusità ragionata propria dell'età adulta (rappresentata verso la fine da manichini impassibili come marionette soggiogate e manipolate senza soluzione) che non sa cogliere le sfumature e le gioie, ma solo rimanere inflessibile di fronte alla regola della razionalità e del dovere, alla gioia finale che la ribellione riesce a portare con sé, e che viene raffigurata con le poetiche nevicate di piume durante la battaglia dei cuscini, o con la corsa avventata sui tetti, simbolo di pericolo certo, ma anche di conquistata e ritrovata libertà.

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