Regia di Bernardo Bertolucci vedi scheda film
Non c'è niente di male nel raccontare una storia (su una religione) in forma di fiaba, ma a mio avviso questo film di Bertolucci aveva e conserva un che di opportunista e modaiolo che infastidisce anche a distanza di vent'anni.
Il modo di affrontare e proporre il buddismo risente delle mode del periodo (un po' come, qualche anno dopo, l'esplosione della new age), sfruttando la doverosa vicinanza alla causa politica tibetana e rasentando il bignami ad usum occidentalium: non per niente ci troviamo di fronte ad una storia narrata ai bambini. La conferma della scelta impenitentemente mainstream è data dall'ambientazione americana, che sceglie la città più cool (vabbe', anch'io ho scelto un termine di impellente attualità) del momento, anche perché nel 1993 siamo nell'epoca d'oro del grunge e Seattle è il luogo dei Nirvana, dei Pearl Jam, dei Soundgarden degli Alice in Chains e così via.
Pur con tutta la maestria di Bertolucci e il prodigio stilistico della fotografia di Storaro, nonché effetti speciali all'avanguardia, Piccolo Buddha e la filosofia che lo sottende mi portano, per reazione, a concordare con una frase sentita in Kundun di Scorsese, quando Mao Tse-Tung, fumando una sigaretta, sibila al Dalai Lama «la religione è veleno». In certi casi anche per il cinema.
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