Regia di Bernardo Bertolucci vedi scheda film
La parabola esistenziale del giovane dell’alta borghesia di provincia che vorrebbe ribellarsi alle convenzioni sociali, ha una relazione con la zia milanese (un’efficace Adriana Asti, corteggiata sulle note della bella Ricordati di Gino Paoli) ma poi sposa la fidanzata alla quale la famiglia lo aveva destinato da sempre, poteva risultare più convincente se affidata a un interprete adeguato (e comunque il tema era stato trattato molto meglio, vedi I delfini di Maselli); i tormenti dell’amico suicida (comunque troppo belloccio per poter essere preso sul serio) provengono dritti dal peggiore Antonioni; il personaggio dell’intellettuale marxista (interpretato da Morando Morandini) che legge Moby Dick ai bambini della sua scuola risulta un po’ troppo schematico. E tuttavia, trattandosi di un film del 1964, c’è l’enorme potere evocativo di quel titolo, che in certo modo rovescia il senso della frase di Talleyrand alla quale si ispira (“Chi non ha vissuto gli anni prima della rivoluzione non può comprendere la dolcezza del vivere”): qui non c’è nessuna dolcezza del vivere, solo un pantano in cui sembra impossibile trovare una via d’uscita. Bertolucci intercetta le inquietudini montanti che di lì a poco esploderanno, e si avvia passo dopo passo verso la sua fase migliore. Un film che vale più per ciò che promette che per ciò che mantiene.
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