Regia di Mario Monicelli vedi scheda film
Erano passati quasi vent’anni da quel capolavoro che fu L’armata Brancaleone quando Mario Monicelli portò sul grande schermo quest’altro film, a cui, inevitabilmente, l’epopea stracciona di Brancaleone da Norcia si ricollega. Se non altro per due fattori comuni: la ricerca di un linguaggio brullo e ruspante; l’atmosfera medievale anticonvenzionale. Stavolta la base ha radici profonde (e i titoli di coda ne son la dimostrazione: non solo Giulio Cesare Croce, ma anche Fedro, Boccaccio, l’Anonimo Toscano, Geoffrey Chaucher e tanti altri), ma il risultato è assai inferiore al precedente. I motivi? Molteplici. Uno: la commedia all’italiana è finita, e Brancaleone era pura commedia all’italiana; due: la stanchezza degli anni ottanta si fa sentire; tre: la sceneggiatura non è pimpante e presenta non pochi momenti morti; quattro: il cast si regge sui quattro mattatori e dimentica il coro; cinque: manca l’atmosfera giusta. Sia chiaro: non è un brutto film. È pur sempre un film di Mario Monicelli, mica l’ultimo arrivato. Eppure non si segue con leggerezza, tutto sembra un po’ forzato e l’impronta Filmauro è ben evidente (accontentare tutti gli angoli d’Italia, da Napoli a Cremona passando per Roma). Punti a favore: le frizzanti musiche di Nicola Piovani e la pertinente ricostruzione d’epoca. E poi gli attori: il migliore è Alberto Sordi, a cui hanno saggiamente centellinato una presenza che altrimenti sarebbe risultata eccessivamente invasiva (ai danni dell’ottimo Ugo Tognazzi). Il Fra’ Cipolla che Sordi tratteggia è l’ennesimo ciarlatano dedito all’arte di arrangiarsi tutta nostrana. Seconda parte migliore della prima.
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