Regia di Alan J. Pakula vedi scheda film
Bree (un’attraente e irrequieta Jane Fonda) è una prostituta che soddisfa tutti gli appetiti sessuali e i capricci dei suoi clienti. Nella Grande Mela le occasioni di lavoro non mancano. Tuttavia è dalla Pennsylvania che è in arrivo un’insidia per la sua “stabilità”: un papabile degli alti livelli dell’FBI è scomparso, e da sei mesi i federali sono sulle tracce della lucciola, nella speranza di ritrovare l’affiliato e risolvere il mistero.
Ammiccante, credo seppure involontariamente, a una sorta di Dario Argento classico, senza il sangue, le efferatezze, e con una musica che richiama gli echi del primo Morricone e anticipa quelle che saranno le elettrizzanti composizioni dei Goblin, “Klute” procede appoggiandosi apertamente a rumori, a suoni di piccoli particolari che evocano misteri, persone nascoste, oggetti, vestiti, sguardi, sussurri. Diverse sequenze si ammantano così di una suspense elementare ma più che efficace, che si avvale del buio per incutere paura e inquietudine.
In bilico tra vita vera e recita da palcoscenico, il film si districa come una sorta di “thriller da camera”, oscillante tra un’impronta spionistica e un’altra melodrammatica e introspettiva. Cinema che tenta di cavalcare l’onda avanguardista degli anni ’70, rivisto oggi “Klute” subisce limature a causa dei numerosi tempi morti e delle assenze di dialogo non sempre supportate dal lavoro registico e interpretativo. Pakula, sempre più incuriosito a definire la personalità di Bree che a restituire gradevolezza e interesse a un’avventura gialla alquanto artificiosa, uccide la carica apprensiva con un finale senza sorprese.
Bree è il personaggio più bello. Complesso e schizofrenico, agisce tra il volersi affermare come attrice e sparire dietro alle maschere della finzione, tra la voglia di rimanere aggrappato al soggetto che si è costruita e l’opportunità di uscire da un tunnel probabilmente senza aperture. Sono le brevi ma approfondite conseguenze delle sedute dall’analista (piccoli esempi di fragili disamine sociologiche) che probabilmente liberano le sue lacrime nella palpitante scena finale, mentre il registratore rivela impietoso la ferocia dell’assassino.
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