Regia di Bernardo Bertolucci vedi scheda film
Dal raccontino di Borges Tema del traditore e dell’eroe (4 pagine in tutto!) Bertolucci trae un film di affascinante astrattezza. La caratteristica era già nell’originale, la cui ambientazione veniva addirittura lasciata incerta (“in un paese oppresso e tenace: Polonia, Irlanda, la repubblica di Venezia, un qualche stato sudamericano o balcanico...”); il regista la colloca in un’imprecisata cittadina emiliana (le riprese si svolsero a Sabbioneta), dove arriva il figlio di un eroe antifascista per fare chiarezza sulle circostanze della morte del padre, ucciso nel 1936 da mano ignota. Sul posto ci sono ancora la sua ex amante, i tre compagni con cui aveva progettato di compiere un attentato a Mussolini e il vecchio ras locale, ma nessuno dice molto (anche se la donna vorrebbe sapere la verità). La soluzione si scopre alla fine: suo padre aveva tradito e, per espiare, insieme ai compagni aveva organizzato il proprio omicidio in modo da incolparne i fascisti, per farsi ricordare come un eroe e così favorire la causa. Inoltre, sempre per alimentare il mito, aveva architettato alcuni particolari ispirandosi alle tragedie shakespeariane: una lettera anonima e una zingara che gli aveva letto la mano lo avvertivano di essere prudente. Il film può essere letto come un ripensamento del passato nazionale (anche da queste parti si stampa la leggenda...), ma può anche essere goduto nei suoi aspetti metafisici: la ricerca di una verità che sfugge perché non è univoca (il padre è, appunto, eroe e traditore allo stesso tempo), la mistificazione della realtà, il labile confine tra bene e male.
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