Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Non ancora riconosciuto dai profani come autore, Eastwood firma il suo film più dichiaratamente poetico, e parla di cinema senza avventurarsi nei soliti clichè da vita da set. Dichiarazione di poetica che vede nelle scelte disorientanti e anti-commerciali un intento preciso, una sfida al sistema. Sono scelte che hanno una vis poetica indescrivibile, complice la naturale bellezza dell'Africa, che va detto non viene fotografata e raccontata come in un documentario. Eastwood autore ha l'occhio per le storie, e sa come giocare la carta spettacolare: lo spettacolo non è in un colpo di scena esplosivo, o in una sequenza commovente, o nell'articolazione della struttura narrativa. Per Eastwood lo spettacolo è l'oggetto, la materia semplice su cui indugiare. Perchè fissare la maschera di un gorilla così a lungo, se non per parallelizzarla con gli occhi feroci dell'elefante assassino? Perchè fissarsi sulla cascata se poi nessuno dopo rischia di caderci (come m'aspettavo)? Perchè indugiare sugli spostamenti, il tempo, il proprio volto, se non per dilatarne il Mito? Una lezione leoniana che diventa Eastwoodiana nel momento in cui l'autore diventa parte fondamentale della sua grammatica. Eastwood è il suo linguaggio. E' egli stesso che contribuisce a creare personaggio, storia, ed estetica del film che crea.
Il regista Wilson-Eastwood (omaggio a Huston) postula sul cinema, come l'unico territorio in cui puoi prenderti il lusso di decidere della vita dei tuoi personaggi, e divertirti con la finzione come in nessun altro caso. Il fascino della finzione, abbinato a quello per l'intreccio che sappiamo è la migliore traduzione della vita, sono il sale che da sapore alla vita di Eastwood. Ma lui vuole travalicare, vuole questo potere anche nella realtà uccidendo un grande elefante, simbolo dell'esistenza di Dio. Un uomo che si vuole confrontare con Dio (e Eastwood poi lo rifarà più volte), e ne esce sconfitto, ma non perchè Dio è più forte e ha più potere, ma solo perchè l'uomo, come in "Fitzcarraldo" di Herzog, quando vuole sostituirsi a Dio nega se stesso e la sua semplicità. Ma la forza del personaggio di Eastwood sta in questa sfida. Uccidere l'elefante, come una moderna Moby Dick, è un peccato vero e proprio, una cosa di cui ci si può solo vergognare. Ma già sapendo che non verrai "terrenamente" punito perchè la caccia è legale, puoi provare il brivido di commettere un atto orribile che tu stesso aborri. Autolesionismo? Superonismo? Maledettismo? O semplicemente quel Eastwoodismo per cui l'anti-eroe che cade, cade comunque in piedi, e nella sconfitta assapora una libertà superiore a quella degli eroi vincenti? Credo possa essere riassunta tutta qui la potenza artistica dei personaggi di Clint Eastwood: individui che si scontrano con il sistema, e ne escono malconci, ma dignitosamente in piedi. Eroi di cui oggi non c'è più traccia.
Ma il film del grande Clint è anche una riflessione amara sul cinema, oltre che sull'uomo. E proprio come in "Fitzcarraldo" l'inutilità dell'impresa è avvicinabile alla nobile arte del Cinema che davanti alla vita e alla morte diventa appunto una postilla, un ghirigoro, un ornamento. Davanti alla vita e alla morte c'è solo il tempo, e il fiato, di dire "azione", e lasciare che lo schermo diventi nero. Finisce il film-cornice e inizia il film-finzione, che è poi la vita che ognuno di noi porta avanti a film concluso, quando spegne il tv, ed estrare il DVD. Ma questa riflessione cozza con l'idea del Pezzotta, che vede in "Cacciatore Bianco, Cuore Nero" un'elogio alla vita vera, e non a quella rappresentata sul grande schermo, che però ci piace tanto, da diventare appunto un rifugio a volte sbagliato. Parlando dei limiti del cinema, della sua incapacità ad avere presa sulla realtà, e tantomeno valore salvifico e terapetico, il Pezzota esclude secondo me l'ipotesi che il film di Eastwood, come i film in generale, possa essere una sorta di viaggio introspettivo, che grazie alla sua rappresentazione per immagini ci aiuta a "vedere" ciò che ci è "invisibile" tutti i giorni. Credo che "Cacciatore Bianco, Cuore Nero" terminando con quel finale aperto, così aperto da non ricordarsene uno dagli anni '70 come dice lo stesso Pezzotta, vuole proprio evidenziare che in quel punto inizia il vero film, che è poi la nostra vita. Più reale o più fiction questo spetta a noi dirlo, ma Eastwood ci aiuta a farlo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta