Regia di Oliver Stone vedi scheda film
Questa opera prima di Oliver Stone, inspiegabilmente, sembra un brutto film di Dario Argento in cui anche Lucio Fulci ci abbia messo lo zampino. La rappresentazione cinematografica del Male, che diventerà il cavallo di battaglia del regista, assume qui la miserevole veste di un macabro gioco dai contorni banalotti, su cui si inseriscono, un po’ forzatamente, ambizioni teatrali di breve respiro. L’horror è soltanto un vago pretesto per una messinscena a buon mercato, in cui anche i pochi effetti splatter sono di bassa lega. L’impressione generale è quella di una carnevalata con costumi e trucchi riesumati dal fondo di un magazzino, in cui ogni maschera recita a suo modo, senza che la regia si preoccupi di conferire, all’azione e allo sviluppo narrativo, un accento omogeneo e coerente. Da questa massa informe emergono, come unici elementi di qualche spessore, alcune citazioni storiche e religiose, che, però, non bastano ad impreziosire una sostanza raffazzonata, tenuta insieme con lo spago, e risultante in un rozzo fagotto di eros thanatos sbrigativamente avvolto nel sic transit gloria mundi. Un esordio artisticamente inutile, e finanche ridicolo, per fortuna preceduto dal cortometraggio Last Year in Viet Nam
(1971): un film di ben altro tenore, che in pochi minuti riesce a dipingere, in un crudo bianco e nero metropolitano, un amaro e letterario bozzetto intorno all’umiliante solitudine del reduce.
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